La nuova legge sul welfare della regione Lazio

(Roma 1942) ha lavorato presso il Ministero della sanità come funzionario e poi alla Regione Lazio in qualità di responsabile della programmazione sanitaria.
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22 agosto 2016

Sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 64 dell’11 agosto scorso è stata pubblicata la legge regionale n. 11 approvata il 10 agosto 2016 avente per oggetto: “Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio”.

Si è così completato dopo un percorso durato molti anni e che ha attraversato tre legislature l’iter della nuova normativa sul welfare della regione Lazio che fino ad ora aveva fatto riferimento alla L.R. n.38/96, emanata addirittura prima della Legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

Erano tante le aspettative che circondavano questa legge così sofferta e purtroppo, almeno a mio parere, sono state in molti casi ampiamente disattese.

Mentre la precedente normativa aveva anticipato molte delle novità che furono poi introdotte dalla predetta L. 328/2000, qui non si è andati oltre ad una stanca riscrittura di molte norme esistenti senza incidere proprio su quelli che sono i gangli fondamentali del sistema dei servizi sociali.

Come accennato non è che sia mancato il tempo per predisporre un testo adeguato, dato che le prime proposte risalgono al 2008 (Battaglia ed altri) e comunque c’è stato tutto il tempo per migliorare il testo originario e adeguarlo alla normativa che si è succeduta specialmente di recente.

Confrontando il testo della nuova legge con quelle da tempo approvate da altre regioni (Puglia, L.R. 19/2006; Lombardia, L.R. 3/2008; Emilia e Romagna, L.R. 2/2003, ecc.) si rileva la distanza del legislatore, specialmente dal punto di vista della risposta operativa, dai reali problemi del servizio sociale che, soprattutto nel Lazio, deve affrontare quelli di una città complessa come Roma.

Per molti versi la nuova normativa utilizza gli strumenti della soft law demandando alla Giunta l’emanazione di Linee Guida o di altri provvedimenti che così vengono sfilati dalla legge divenendo oggetto di provvedimenti di natura amministrativa.

Dopo alcune disposizioni di carattere generale (Capo I) troviamo una lunga elencazione delle politiche del sistema integrato (Capo II): a favore delle famiglie e dei minori, in favore di bambini e adolescenti per la prevenzione, in favore delle persone con disabilità e delle persone con disagio psichico, in favore degli immigrati e di altre minoranze, in favore delle persone vittime di violenza e maltrattamenti e delle donne gestanti o madri in situazione di disagio sociale, ecc..

Specialmente per quanto riguarda gli immigrati ci si sarebbe atteso qualcosa di più delle scarne parole spese all’art. 14.

Segue una altrettanto lunga elencazione degli interventi e servizi del sistema integrato (Capo III): livelli essenziali delle prestazioni sociali, servizio di segretariato sociale, servizio sociale professionale, assistenza economica e assegni di cura, assistenza domiciliare, mensa sociale e di accoglienza notturna, ecc..

Troviamo poi l’individuazione dei soggetti del sistema integrato (Capo IV): Regione, Città metropolitana di Roma capitale e province), Comuni, Aziende Sanitarie Locali, IPAB, Terzo settore, ecc.; a questo proposito occorre sottolineare che le competenze dei Comuni (art. 35) sono oggetto di un’altra proposta di legge: la P.L. 317 del 29 febbraio 2016 avente per oggetto “Disciplina e conferimento di funzioni e compiti amministrativi ai Comuni, a Roma Capitale e alla Città metropolitana di Roma Capitale, riordino delle forme associative tra gli enti locali e superamento delle Comunità montane”, il cui iter procede a rilento, anche a causa dell’incerto futuro della Province, legato com’è noto alla modifica della Costituzione approvata dal Parlamento ed oggetto ora di un referendum Confermativo. Per quanto concerne invece le Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB): la stesura dell’articolo 38 appare inadeguata ad affrontare la situazione in cui si trovano le IPAB nel Lazio anche a causa del ritardo con cui viene affrontato il problema rispetto a quanto previsto dal D.lgs 207/2001. Nel frattempo il patrimonio delle IPAB, che istituzionalmente avrebbe dovuto servire per assicurare il funzionamento di questi enti, è stato spolpato e quello che c’è rimasto è spesso in stato di abbandono con un evidente danno per la comunità. Molto meglio sarebbe stato trasferire queste istituzioni direttamente ai Comuni mantenendone le finalità statutarie. In ogni caso esiste anche qui un’altra proposta di legge d’iniziativa della Giunta regionale del Lazio specifica che reca il n. 122 e che è datata 20 gennaio 2014 cui in sostanza viene fatto rinvio con la legge in esame, per cui si dovrà attendere ancora per conoscere il futuro delle IPAB.

L’art. 39 della nuova legge tratta del Terzo Settore, ma mentre alla Pisana discutevano, il Parlamento ha approvato il 6 giugno scorso la legge n.106 che avrebbe dovuto essere recepita, per cui la normativa regionale è stata già superata da quella nazionale.

Il Capo V della legge è dedicato alla organizzazione del sistema integrato sociale e troviamo la definizione del Distretto socio-sanitario cui seguono le modalità di svolgimento delle funzioni di indirizzo e programmazione dei servizi e degli interventi; in particolare con l’art. 44 (Organismi di indirizzo e programmazione): a livello di Distretto si torna ad offrire una opzione organizzativa tra le varie forme offerte dal Testo Unico degli Enti Locali (TUEL): come l’art. 30 (forma associativa), l’art. 31 (consorzio) e l’art. 32 (unione), sarebbe stato più opportuno decidere una volta per tutte quale forma utilizzare e che fosse una sola per tutto il Lazio.

A sua volta l’art. 45 tratta dell’Ufficio di Piano, definito l’ufficio tecnico amministrativo con funzioni propositive nei confronti degli organismi di indirizzo e programmazione e di organizzazione e gestione dei servizi erogati a livello distrettuale. Fino ad oggi per la composizione dell’Ufficio di Piano è stata lasciata mano libera ad ogni distretto, per cui si sono create situazioni con professionalità molto diverse tra loro, non tutte efficienti e comunque affidate a personale precario. Il comma 4 del predetto art. 45 rinvia a delle Linee Guida delegate alla giunta regionale l’organizzazione, la dotazione organica ecc. per cui anche in questo caso non viene definito nulla circa il personale che ne dovrà far parte.

Il Capo VI è dedicato alla programmazione del sistema integrato e in particolare al tanto atteso Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali: dopo alcune definizioni e criteri che dovranno ispirare il Piano l’art. 47 rinvia anch’esso alla Giunta per la sua predisposizione. Per quanto riguarda invece il Piano sociale di zona finalmente è previsto che le organizzazioni sindacali e le reti associative di secondo livello del terzo settore siano coinvolti nella fase istruttoria di elaborazione del piano di zona e che debbano esprimere parere sulla proposta di piano; sono peraltro esclusi gli utenti.

Il Capo VII reca disposizioni per l’Integrazione socio sanitaria; in particolare all’art. 51, al comma 3 troviamo ancora una volta un riferimento all’Accordo di programma della legge 142/90 che a mio avviso ha dimostrato in questi anni tutti i suoi limiti sia per quanto riguarda le modalità delle scelte che in termini operativi.

Tra gli strumenti per la qualità del sistema integrato contenuti nel Capo VIII troviamo la Carta sociale del cittadino e la Carta dei servizi sociali; oramai a livello nazionale è si parla sempre di Carte per la qualità dei servizi, mentre qui questo aspetto non appare trattato in maniera adeguata né vengono assicurati standard omogenei a livello regionale; la questione è tanto più preoccupante quando si legge (comma 3) che l’adozione della carte dei servizi sociali rappresenta requisito necessario per l’autorizzazione dei servizi e delle strutture privati. Anche in questo caso non è prevista la partecipazione degli utenti alla stesura della “Carta”.

In merito alle modalità di affidamento dei servizi l’art. 58 forse sarebbe stato più opportuno fare direttamente riferimento alla normativa statale contenuta nel D.lgs 50/2016 che tratta la materia negli articoli da 140 a 143 per non parlare anche della citata L. 106/2016 (art. 4, comma 1 lettera o); evitando di inserire elementi di confusione. Anche per le Cooperative sociali c’è una nuova normativa nel Codice dei contratti (art. 112) per le quali l’ANAC ha fornito indicazioni con la deliberazione n. 32 del 20 gennaio 2016.

Per quanto riguarda infine la vigilanza sulle strutture e sui servizi autorizzati ai sensi della L.R. 41/2003 prevista dall’art. 59, nonostante i problemi evidenziati nel Lazio da una serie gravi fatti di ordine penale accertati dai NAS, si assiste, ancora una volta ad una scarsa attenzione alla organizzazione dell’attività di verifica e di prevenzione da parte dei Comuni e delle ASL.

Per quanto riguarda la valutazione della qualità prevista dall’art. 61 i cittadini utenti non possono essere ridotti a presentare reclami all’Ufficio di tutela e garanzia dei diritti degli utenti del sistema integrato presso la Regione previsto dall’art. 62 ma devono essere i protagonisti nella valutazione della qualità come stabilito dalla L. 328/2001 e dall’art. 2 comma 461 della L. 244/2007.

Molto interessante invece è l’istituzione di un Osservatorio regionale delle politiche sociali che potrebbe consentire di avere una conoscenza più approfondita delle varie situazione creando anche una banca dati e quindi sviluppare un benchmarking tra i vari distretti favorendo così una crescita più armonica di tutto il sistema.

Certamente molto dipenderà dalla volontà che tutti porranno nell’attuazione della nuova legge e dai finanziamenti già annunciati; senza dubbio potrebbe essere utile l’approvazione di un regolamento regionale come fatto a suo tempo dalla regione Puglia (RR 28 gennaio 2008, n. 1) che potrebbe rendere più agevoli le procedure e i vari adempimenti a livello locale garantendo in maniera ottimale l’integrazione tra servizi sanitari e sociali che in molti casi rappresenta ancora una chimera.

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