Intervista A Marco Omizzolo, Autore De La Quinta Mafia

PhD in sociologia conseguito presso l’Università degli Studi di Roma Tre e arabista, è docente a contratto di sociologia delle migrazioni islamiche in Europa.
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14 settembre 2016
Sta per uscire la sua ultima ricerca dal titolo emblematico "La Quinta mafia" per RadiciFuture. Di cosa si tratta? Si tratta della modellizzazione sociologica del processo insediativo-organizzativo delle organizzazioni mafiose in territori in cui la loro presenza non è tradizionale. In questo senso il modello immaginato è propriamente euristico e non ha alcuna ambizione di completezza. Al contrario esso è aperto e in costante dialettica con le tesi principali sul tema e col dibattito in corso. La ricerca è temporalmente selezionata (periodo 1980-1992) e poggia su alcune evidenze “empiriche” date da vari episodi di cronaca di quel periodo riconducibili alle attività mafiose. Anche in questo caso gli episodi selezionati, frutto di uno straordinario lavoro di ricostruzione del giornalista Emilio Drudi che del tema si occupa da anni, sono stati da me ulteriormente selezionati e analizzati, per evitare di procedere con elaborazioni teoriche prive di contenuto e riscontro empirico. Ciò che mi preme sottolineare è l’organizzazione reticolare delle mafie pontine che ha permesso ai diversi esponenti dei vari clan (cupola siciliana, ‘ndrangheta, camorra e altre) di costruire accordi e metodologie di azione comuni spesso co-gestendo "affari” e relazioni sociali. A questa elaborazione segue l’analisi delle risposte, o dei tentativi di risposta, elaborati dalle istituzioni, dalla politica, dal mondo del lavoro, dall’associazionismo e dalla Chiesa di quel periodo. Il testo non ha ambizioni di completezza ma quella di cogliere la dinamica delle mafie pontine in quel periodo, la loro capacità di costruire tra di esse alleanze strutturali e nel contempo liquide, e dunque di cogliere l’elemento relazionale, tanto da introdurre il concetto di network mafioso. Esse non sono strutture rigide ma pienamente storiche; non sono organizzazioni amministrative, o almeno non solo, ma vivono delle relazioni che riescono a costruirsi con pezzi della politica, dell’economia, con alcuni liberi professionisti che si prestano in cambio di soldi e potere, del credito e molti altri. La Quinta Mafia, espressione in realtà non mia ma giornalisticamente brillante, è la sintesi di un modello mafioso fatto di relazioni sociali e poi di interessi economici e politici che nel corso degli anni successivi a quelli selezionati ha visto manifestare la sua violenza e capacità di condizionamento. Penso all’omicidio di Don Cesare Boschin, parroco di borgo Montello, vicino Latina, che denunciò per primo il traffico illecito di rifiuti che interessava la relativa discarica e più in generale l’intera provincia di Latina, il “caso Fondi”, il sistema degli appalti, delle truffe allo Stato, il racket, la saldatura sempre più stretta tra politica e criminalità, come le ultime brillanti operazioni delle forze dell’ordine pontine hanno dimostrato (operazione “Don’t touch”), sino alla formazione, come provata da una recente pubblicazione dal titolo “Le mafie straniere in Italia”, di una proto-mafia ossia di un’organizzazione criminale internazionale dedita al traffico internazionale di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo, caporalato e agromafie. Perché analizzare proprio le mafie negli anni Ottanta. Cosa ha di specifico quel periodo storico? Perché quel periodo è centrale per la capacità che le varie mafie pontina hanno avuto di consolidarsi, penetrare nel tessuto sociale prima ancora che economico e politico, risultare presenze evidenti senza essere però additate e capaci nel contempo di costruire relazioni di potere che hanno permesso loro di realizzare affari, peraltro in tutta la provincia di Latina, sino addirittura ad aprire scontri armati che avevano come compito quello di costruire nuove relazioni ed equilibri. Il risultato è stato un rafforzamento del network mafioso. Per questo l’evoluzione degli anni successivi è una eterna scoperta di qualcosa che tutti sanno. Ogni volta che nel pontino si parla di mafia si ha la sensazione che si parli di un fenomeno nuovo. E’ esattamente il contrario. Le mafie ci sono da tempo e intorno a loro un sistema diffuso di relazioni e di criminali autoctoni che agiscono quotidianamente contro il diritto e a difesa dei propri interessi. A chi si rivolge La Quinta Mafia? La Quinta Mafia si rivolge innanzitutto agli studenti e più in generale ai giovani. Da questo punto di vista il fatto che sarà adottato come libro di testo in alcuni dipartimenti universitari è una notizia importante. Ciò che mi preme che passi è che le mafie pontine hanno una loro organizzazione che si manifesta nel complesso equilibrio delle loro relazioni esterne e interne, ossia relazioni tra i vari referenti dei vari clan mafiosi presenti nel pontino e con alcune articolazioni dello Stato, dell’imprenditoria, del credito, della società. Senza la comprensione del ruolo che per esse ricoprono le relazioni strutturate rischiamo di fare una battaglia faticosa e poco fruttuosa. In sintesi, dovremmo combattere le mafie e nel contempo i comportamenti e gli interessi mafiosi che sono fuori di esse (e in questo io comprendo anche alcune espressioni quasi antropologiche comuni come l’ignavia, l’indifferenza, il disinteresse che costituiscono l’humus sul quale le mafie e altre forme di criminalità prosperano). Quali sono gli episodi che lei ritiene più importanti e che vorrebbe sottolineare della sua ricerca? Sono gli episodi di resistenza all’azione mafiosa. Si tratta di associazioni e sindacati capaci, forse prima della politica, di accorgersi del problema, di comprenderlo nella sua pericolosità, e di denunciarlo. Un ruolo fondamentale per esempio lo ha svolto la Chiesa, con vescovi coraggiosi che hanno organizzato manifestazioni, fatto omelie durissime e denunce pubbliche coraggiose. Lo stesso vale per alcuni esponenti politici che si sono esposti direttamente richiamando le autorità dell’epoca ad interventi più chiari, netti e risolutivi. Se ieri avessero seguito quei suggerimenti e richiami oggi vivremmo in una società migliore. Questa è una storia di resistenza sociale e politica che deve essere richiamata, diffusa, resa nota. Non siamo all’anno zero. Prima di noi ci sono state persone ed organizzazioni che hanno svolto compiti di analisi, denuncia e proposta e che non vanno dimenticati. Chi si occupa di contrasto alle mafie e alle ingiustizie oggi nel pontino deve ricordare quanti negli anni passati hanno fatto lo stesso. In qualche modo sono “i nostri padri costituenti” e faremmo bene a riscoprire la loro testimonianza e eredità. Quali saranno i prossimi appuntamenti? Ci saranno molte presentazioni a livello nazionale. Il 19 ottobre per esempio presenteremo con l’On. Mattiello e altri, la ricerca presso la sala stampa della Camera dei Deputati a Roma. Seguirà poi un tour di presentazione in Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia per poi andare nel Nord del Paese. Un tour che servirà per far conoscere le mafie nel pontino secondo quanto ho potuto rilevare e soprattutto unire riflessioni, passioni, impegni, azioni perché una battaglia come questa unisca l’analisi e l’impegno territoriale con quello nazionale e internazionale.

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