La regolamentazione da parte dei Comuni dell’uso dei fitofarmaci nelle aree urbane e in prossimità degli abitati

(Roma 1942) ha lavorato presso il Ministero della sanità come funzionario e poi alla Regione Lazio in qualità di responsabile della programmazione sanitaria.
Condividi
03 ottobre 2016
La competizione del mercato spinge sempre più gli agricoltori verso coltivazioni intensive che comportano spesso l’utilizzo di fitofarmaci (per lo più fungicidi, insetticidi ed erbicidi); ogni anno sui terreni italiani vengono riversate tonnellate di sostanze chimiche per preservare le coltivazioni o eliminare insetti dannosi. Si tratta di prodotti spesso altamente tossici per i quali occorre un certificato di abilitazione all’acquisto e all’utilizzo dei prodotti fitosanitari (comunemente conosciuto come “patentino”) rilasciato dalle regioni; alcuni prodotti possono essere utilizzati solamente da soggetti che indossino particolari “Dispositivi di protezione individuale” (tuta e maschera antigas). A livello scientifico è ampiamente documentato il nesso causale tra alcune di queste sostanze e talune malattie anche gravi, che possono colpire gli agricoltori, le loro famiglie e quanti si trovano a vivere nei pressi dei campi o delle serre, per non parlare dei rischi per l’alimentazione umana. Esistono tre tipi di tossicità: - quella acuta, che si manifesta in caso di incidenti nelle persone che ne fanno uso, come gli agricoltori. L’inalazione e il contatto diretto con i pesticidi possono provocare disturbi immediati o che si manifestano a poche ore dall’esposizione. Molti pesticidi, infatti, oltre che tramite le vie respiratorie penetrano anche attraverso la cute. I sintomi possono essere più o meno gravi: dai problemi alla respirazione (anche severi), all’irritazione della pelle e richiedono un trattamento tempestivo. - quella a medio termine, sempre nelle persone che per lavoro o per altre cause entrano in contatto con queste sostanze tossiche; studi epidemiologici di coorte sugli agricoltori hanno evidenziato un numero di tumori più elevato per talune cause di morte (Linfoma non Hodgkin, leucemie, mieloma multiplo, tumore alla prostata, della cute, ecc.). Alcuni studi più specifici hanno messo in luce un nesso causale tra l’utilizzo prolungato di alcune determinate sostanze ed alcune patologie (erbicidi con i tumori dell’ovaio; composti organo fosforici con le leucemie; organo fosfati con il tumore della prostata, ecc.). I bambini sono più vulnerabili ai rischi, ma esiste anche una pericolosità legata all’uso dei fitofarmaci da parte dei genitori durante il periodo gestionale o del pre-concepimento. - quella a lungo termine, dovuta ai rischi per la sicurezza alimentare dovuti all’assunzione di residui nei cibi. I piccoli agricoltori spesso non dispongono di un adeguato equipaggiamento protettivo e ricorrono principalmente a polverizzatori a spalla che li espongono a forti rischi. Le restrizioni imposte per l’utilizzo di questi prodotti estremamente pericolosi si sono spesso rivelate complicate da applicare e i pesticidi vengono utilizzati molto spesso da persone non qualificate. Questo può comportare numerosi avvelenamenti, la contaminazione del cibo e danni all’ambiente. A ciò si aggiunge la compresenza di residui di più fitofarmaci che produce un effetto cocktail con conseguenze ancora non sufficientemente studiate. Non sono disponibili dati recenti sulle malattie professionali indotte dall’utilizzo di queste sostanze, comunque secondo l’INAIL le sostanze più a rischio sarebbero appunto gli anticrittogamici, gli insetticidi e i diserbanti. La ricerca è resa più complessa dal fatto che l’INAIL classifica gli infortuni avvenuti in serra o vivai tra quelli del settore industria. Naturalmente nel caso di infortuni sul lavoro esiste una responsabilità penale del datore di lavoro ai sensi del D.lgs 81/2008 e amministrativa per l’impresa in base al D.lgs n. 231/2001. In base alla legge i medici che per qualsiasi motivo vengano a conoscenza di un’intossicazione devono denunciarla entro due giorni alla ASL competente per territorio che, entro 10 giorni, deve informare il Ministero della Sanità, proprio a causa dei pericoli legati all’uso di queste sostanze. Negli ultimi cinquanta anni le pratiche agricole industriali hanno ridotto la biodiversità e alterato gli ecosistemi sia relativamente alla fauna che alla flora; le conseguenze più rilevanti sono state: la riduzione della variabilità genetica dei sistemi viventi, i processi di eutrofizzazione delle acque dolci e di quelle marine, l’alterazione chimico-fisica e biologica dei suoli. La FAO e l’OMS hanno pubblicato l’International Code of Conduct on Pesticide Management Guidelines on Highly Hazardous Pesticides che punta a «ridurre i danni causati dai pesticidi altamente tossici, in particolare, dei rischi per la salute umana e per l’ambiente». La questione è seguita con attenzione anche a livello europeo dalla European Food Safety Authority (EFSA). Anche l’Istituto Superiore di Sanità segue con alcuni progetti gli effetti dei fitofarmaci sulla salute umana. Il Governo italiano con un Decreto dei Ministeri delle politiche agricole, dell’ambiente e della salute del 22 gennaio 2014 è stato adottato il Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN) ai sensi del D.lgs 150/2012 recante “Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi”. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), di recente ha pubblicato il Rapporto Nazionale Pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee dalle cui tabelle regionali emerge un panorama preoccupante per la presenza di bollini rossi in aree urbane, una situazione che espone a rischio non solo chi lavora in agricoltura, ma anche gli abitanti ignari che vivono in prossimità di serre o altre piantagioni trattate con fitofarmaci pericolosi per la salute umana. La progressiva cementificazione delle campagne infatti ha fatto sì che in molte zone non ci sia soluzione di continuità tra la città e le terre coltivate. È auspicabile che venga elevato il livello di attenzione anche da parte del Servizio per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (SPRESAL) delle Aziende Sanitarie Locali aumentando la vigilanza presso le aziende agricole; questa attività oggi deve essere svolta in maniera coordinata e contestualmente al neonato Ispettorato Nazionale del lavoro istituito con D.lgs 149/2015 in base alla delega concessa al Governo con la L.183/2014. Proprio questa estate a Valvasone Arzene (PN) alcuni abitanti hanno chiesto l’intervento dei Vigili del Fuoco e del 118 a seguito di un trattamento antiparassitario effettuato in un vigneto circostante, mentre a Borgo Vodice (una frazione di Sabaudia, in provincia di Latina) quattro persone sono finite al Pronto Soccorso per aver inalato i vapori di prodotti erbicidi provenienti da alcune serre distanti pochi metri dalle loro abitazioni. Dimostrando sensibilità al problema la Giunta regionale del Veneto il 1° agosto scorso ha approvato (deliberazione n. 1262/2016) uno schema di regolamento comunale per limitare l’utilizzo nelle aree urbane dei fitofarmaci e vietare proprio l’uso di erbicidi, prevedendo anche delle distanze di sicurezza dalle abitazioni e obbligando gli operatori ad eseguire pratiche alternative. Il provvedimento si aggiunge ad un altro di carattere più generale sull’uso dei fitofarmaci in agricoltura già emanato da tempo (DGR 1619/2006). Naturalmente l’uso degli erbicidi in città può essere nocivo non solo per gli esseri umani, ma anche per gli animali domestici anche perché si tratta di sostanze che permangono a lungo nell’ambiente. Sarebbe quanto mai opportuno che tutti i Comuni adottassero un Regolamento per disciplinare la materia al fine di assicurare una maggiore tutela dell’ambiente urbano e delle persone che vi lavorano o vi abitano e che ci fosse più informazione su questo tema.

Leggi anche