Oltre 13 milioni di euro sequestrati nel Cilento al clan Fabbrocino. Basta luoghi comuni. Si prenda coscienza del radicamento anche nel Cilento di importanti clan criminali.

PhD in sociologia conseguito presso l’Università degli Studi di Roma Tre e arabista, è docente a contratto di sociologia delle migrazioni islamiche in Europa.
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31 ottobre 2020
Dai meno informati e dai più diffusi luoghi comuni, insieme alle sue straordinarie bellezze storiche e ambientali, il Cilento viene considerato un territorio in qualche modo libero dagli interessi e affari delle mafie. Il suo mare, il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, i suoi prodotti enogastronomici, espressione di una “vivace cultura del fare sano, bene e pulito”, costituiscono un marchio del benessere che però, purtroppo, non lo protegge dagli interessi dei clan. Il 28 ottobre scorso, infatti, i militari della Guardia di Finanza di Salerno hanno messo a segno uno dei blitz più importanti contro la malavita campana e anche cilentana. Dopo una lunga fase investigativa, gli agenti hanno infatti eseguito due decreti di sequestro, emessi dal Tribunale di Salerno – Sezione Misure di Prevenzione, finalizzati alla confisca, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, del patrimonio del clan Fabbrocino. In particolare i provvedimenti avevano come destinatari rispettivamente Francescantonio Fabbrocino (classe 1956), nipote di Mario Fabbrocino, e Antonio Piccirillo (classe 1947), ritenuto prestanome del primo, entrambi pluripregiudicati e già sottoposti, rispettivamente, a misure cautelari di tipo custodiale.
Il clan Fabbrocino costituisce una delle organizzazioni mafiose da sempre presenti in Campania con interessi diffusi in alcuni settori economici strategici per la regione. I Fabbrocino sono una famiglia di origine napoletana con relazioni consolidate con Cosa Nostra e operante tra il Nolano ed il Vesuviano. Il clan già in passato ha subito importanti operazioni di polizia giudiziaria con riferimento in particolare ai Comune di Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano, Poggiomarino e Terzigno, e con importanti diramazioni anche in altre aree della provincia di Salerno. Un clan ancora potente quello di Mario Fabbrocino, detto ‘o gravunaro, che secondo alcuni inquirenti è tra le organizzazioni di stampo camorristico operanti nella provincia di Napoli, maggiormente attive e solide, potendo contare oltre che su di un diffuso clima di omertà e su una fittissima rete di connivenze, su una struttura gerarchicamente organizzata in cui ciascun componente è perfettamente consapevole del ruolo che gli è stato affidato ed è rispettoso delle gerarchie.
Uno dei motivi per cui l’organizzazione criminale continua a sopravvivere e ad allungare i suoi tentacoli nel territorio campano, compreso quello cilentano, è la sua costante capacità di assicurare assistenza economica a tutti gli associati e in particolare ai detenuti e alle loro famiglie, secondo una delle tradizioni proprie della mafia, in particolare siciliana. Governano con metodi criminali alcune specifiche attività illecite come il traffico di stupefacenti, le estorsioni e addirittura omicidi che hanno insanguinato l'intera area.
Le indagini condotte dalla Guardia di Finanza hanno accerta l’esistenza di pianificati e sofisticati meccanismi elaborati per occultare la diretta titolarità delle ricchezze accumulate grazie alle attività illecite svolte dal clan, mediante il ricorso all’intestazione fittizia di quote societarie ed immobili ad otto “prestanome”. Una metodologia in realtà nota da tempo alle Fiamme Gialle e agli investigatori e inquirenti che si occupano di indagini antimafia. Tra il 2004 e il 2010, secondo gli inquirenti, sono stati investiti a scopo di riciclaggio oltre 1,5 milioni di euro. Gli investigatori sono altresì riusciti a ricostruire l’esatto compendio dei beni accumulati, nonostante i soggetti utilizzati come “ponti di legno”, tutti incensurati, godessero di una posizione imprenditoriale tale da far passare inosservati i cospicui flussi finanziari ed investimenti immobiliari. Le indagini condotte dimostrano, secondo la DDA, che Francescantonio Fabbrocino continuava, nonostante i vari titolari di attività imprenditoriali, a gestire la contabilità delle aziende e a mantenere la titolarità dei beni. La disponibilità del denaro e delle cose derivanti dall'attività mafiosa, sono per i mafiosi stessi un principio fondamentale. Essi si identificano con la materialità delle loro attività criminali che peraltro spesso esibiscono quale manifestazione di potere e di potenza economica incontestabile. È la dimostrazione peraltro di una contorta psicologia del dominio che è spesso fondata su limiti culturali e psichiatrici consolidati.
Tornando alle società sequestrate, operanti sull’intero territorio della provincia di Salerno, esse agivano nel settore immobiliare, anche mediante servizi propri di alcune agenzie e mediante le attività specifiche di professionisti vari, nonché della grande distribuzione di noti marchi di prodotti alimentari. Ciò dimostra, una volta ancora, la necessità di riformare il settore della grande distribuzione come anche quella della produzione ortofrutticola nazionale, per liberarsi da criminali di varia natura. Sotto questo punto di vista, il centro studi Eurispes, con il suo rapporto annuale, afferma che il business delle agromafie, nel 2018, era addirittura di circa 25 miliardi di euro. Anche per questa ragione l'attività di indagine e i provvedimenti emanati dalla Procura e dalla DDA contro i Fabbrocino costituisce una fondamentale opera di intervento e bonifica del settore della grande distribuzione e della logistica dai diffusi interessi mafiosi.
Alla base dei provvedimenti di sequestro, oltre alla notevole sproporzione tra i redditi dichiarati e le ricchezze riconducibili ai due destinatari, vi è l'evidente propensione a delinquere di entrambi gli uomini destinatari della misura, uno dei quali, nonostante fosse agli arresti domiciliari, pur di non rinunciare alla gestione in prima persona degli affari, incontrava regolarmente, presso la propria abitazione, collaboratori ed agenti della rete vendite.
In definitiva, i finanzieri di Salerno hanno sequestrato 9 complessi aziendali, 53 appartamenti, 4 villini, 17 garage, 8 appezzamenti di terreno e 16 partecipazioni in società di capitale, per un valore complessivo stimato in oltre 13 milioni di euro. Proprietà e denaro sporco frutto di attività illecite di natura mafiosa. L’amministrazione giudiziaria di tali aziende garantirà la continuità aziendale, salvaguardando così i posti di lavoro e i contratti in essere, come la norma prevede allo scopo di bonificare tali attività dalla gestione criminale senza determinare conseguenze per la manodopera e il realtivo circuito commerciale e produttivo. Le attività investigative svolte mettono in luce l’attenzione che viene costantemente posta nel monitoraggio della zona del Cilento.
È bene infatti ricordare che, insieme alle attività illecite sequestrate con questa operazione, esiste da tempo una importante possibilità di investimento nel settore del turismo cilentano, accresciute dalla crisi economica e dalla concomitante pandemia. Il combinato disposto di questi fattori rendono drammaticamente il Cilento particolarmente esposto a infiltrazioni di organizzazioni criminali di varia provenienza, ed espongono l’intera area alla presenza mafiosa e ai suoi interessi criminali, capace di incidere significativamente su quel tessuto economico ed imprenditoriale, esponendola a pesanti rischi sia per quanto concerne la tenuta dell’assetto sociale che quello economico.

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