La nomina di Roberto Maroni a presidente della Consulta per l’attuazione del Protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo in agricoltura e del caporalato è insopportabile e inaccettabile.

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
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20 ottobre 2021

La recente nomina voluta del Ministro dell'Interno Lamorgese dell'ex ministro Roberto Maroni a capo della Consulta per l’attuazione del Protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo in agricoltura e del caporalato è insopportabile e inaccettabile.


Proprio Maroni è stato il responsabile, insieme alla maggioranza che governava il Paese, durante il governo Berlusconi, del mancato scioglimento per mafia dell'amministrazione comune di Fondi, nel Sud Pontino, dove ha sede uno dei mercati ortofrutticoli più grandi d'Italia e maggiormente condizionato dalle mafie, con due sue dichiarazioni di scioglimento non raccolte dalla presidenza del Consiglio. E Maroni è quello stesso politico che dichiarò che in Lombardia non ci solo le mafie, come assenti gli risultavano essere in tutto il Nord. Questo nonostante il suo incarico ministeriale, i processi aperti per mafie, le condanne e le moltissime inchieste condotte.

Maroni è ancora oggi espressione della Lega di sempre, oggi governata da Salvini in salsa sovranista con accenti e posizioni dichiaratamente xenofobe e filo padronali. Quello stesso Salvini che ha più volte espresso la sua volontà, soprattutto quando era anche lui ministro dell'Interno, di cambiare (in peggio) la legge 199/2016 quale avamposto normativo tra i più avanzati in Europa contro il caporalato e lo sfruttamento. Quella stessa Lega che si è sempre schierata in favore dei padroni e contro i lavoratori e le lavoratrici, soprattutto quando migranti e gravemente sfruttati. Lo sanno bene quanti in questi anni hanno lottato nei territori del Paese in cui il caporalato e le agromafie sono risultate più violente, organizzate e diffuse. Si tratta di territori che vanno dal Nord al Sud, ossia dalla Lombardia, al Veneto e al Piemonte, dalla Toscana al Lazio, dalla Campania alla Sicilia passando per Puglia, Calabria e Basilicata. La natura sistemica del caporalato è trasversale a tutto il territorio nazionale, proprio come quelle mafie che Maroni ha negato in parte, sottovalutandone la pericolosità. Assordante è stato il silenzio dello stesso Maroni in questi anni quando sono scoppiati, grazie all'azione delle forze dell'ordine e della Magistratura, alle denunce di giornalisti e dei sindacati, casi gravissimi di sfruttamento e caporalato, anche nella sua Lombardia o in Veneto o altrove.

La sua nomina indica l'ennesimo prevalere di strategie tutte interne ai palazzi della politica, a tutela di equilibri precari, in alcuni casi interni alla stessa Lega e al governo in carica. Si tratta di uno schiaffo a quanti in questi anni hanno lottato perché libertà e giustizia di chi, donna e uomo, è quotidianamente sfruttato ed emarginato, trionfasse contro mafie, padroni, caporali e ogni sorta di sistema dominante. Il razzismo e le varie forme di discriminazione praticate dalla Lega in questi anni mediante dichiarazioni, politiche e comportamenti di molti suoi dirigenti nazionali, sono la prova di un quadro politico torbido, non comprensibile da parte di chi a cuore il diritto e la giustizia, soprattutto degli ultimi e in particolare degli sfruttati, italiani e migranti.

Si resta convinti della fondamentale centralità della politica nella risoluzioni di problemi sistemici così complessi come il caporalato e le agromafie. Ma non è certo questa politica quella che può essere capace di sviluppare risposte adeguate, coerenti e determinate in favore di una battaglia di democrazia e libertà che riguarda tutti noi, nessuno escluso.

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