Ucraina: perché siamo arrivati alla guerra aperta e che è successo negli ultimi otto anni

Giornalista professionista dal 2005, si occupa di diritti umani, economia predatoria in Africa e lotta alla povertà. Ha lavorato nelle agenzie di stampa, da Agi, a Reuters ad Adnkronos.
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25 febbraio 2022

Il peggio è accaduto. La guerra è iniziata in Ucraina: dopo averla minacciata per mesi, dopo aver preparato una propaganda di anni e tenuto la tensione sempre alta, Vladimir Putin alla fine ha agito. Nel peggiore dei modi.

Ma la realtà è che in Ucraina la guerra “a bassa intensità” o “ibrida” dura da almeno otto anni e nel corso del tempo si è pure trasformata. Come tutti i conflitti irrisolti e incompresi si è anzi incancrenita.
Nonostante gli accordi di Minsk II (sostanzialmente falliti) e il cessate il fuoco, la vita nell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk (ad est, confine russo) è stata, e da oggi lo è di più, una vita infernale. Sempre in bilico e in tensione.

Essere bambini nel Donbass è una condanna alla paura permanente. Leggendo le storie, guardando ai numeri (delle morti, dei soprusi e delle violazioni perpetue) mi ritorna in mente l’incontro che nel 2014 ebbi alla Focsiv di Roma con Lyudmyla Kozlovska che oggi dovrebbe avere 37 anni. Era ed è la presidente di Open Dialogue Foundation, onlus dei diritti umani nata in Polonia che ha sede a Bruxelles e anche a Varsavia e a Kiev. Denunciava abusi ed uccisioni di ucraini ad opera di separatisti ed esercito russo.
Quell’incontro ristretto (eravamo tre giornalisti e tre attiviste ucraine) a luglio del 2014 per me era stato illuminante.
Lyudmyla, Natalia Panchenko ed Elena Rybak (moglie di un amministratore comunale ucraino barbaramente ucciso dai filo-russi ad aprile 2014) in quell’occasione raccontarono cosa stava succedendo nel loro Paese, schiacciato dall’esercito russo. E come tutto era stato sapientemente orchestrato nel corso dei due anni precedenti, in una escalation di violenza sfociata nella guerra.

Ci raccontarono dei sequestri di persona, delle infiltrazioni di militari russi nella società civile dell’Ucraina orientale. Dei “terroristi” ucraini filorussi e dell’impotenza della gente comune. Quei racconti suonarono nuovi alle mie orecchie e niente affatto scontati.

Il giorno successivo, il 17 luglio, un boeing MH17 della Malaysia Airlines precipitava nella zona di Donetsk, nell’Ucraina orientale, a 40 km dal confine con la Russia.

Poi scoppiò l’estate e ad agosto inoltrato fu abbastanza chiaro a tutta Europa cosa stava realmente succedendo nella patria di Poroshenko.

«Questa non è una guerra civile e non è neanche una lotta tra separatisti filo-russi e nazionalisti ucraini. Questa è una guerra di annessione militare da parte della federazione russa», ci disse Lyudmyla Kozlovska, in quell’incontro romano.

In questi anni al di là della diplomazia, delle sanzioni e dei giochi geo-politici, le violazioni sono proseguite. E poi sono deflagrate. Con l’epilogo di queste ore che ci rende tutti attoniti e come spaesati.

«Ogni famiglia è toccata da questa tragedia. Ma la nostra memoria opera in maniera selettiva e in modo tale che ricordiamo solo le offese più ciniche – diceva ancora Lyudmyla, che ho contattato via mail a distanza di un anno – E’ in corso una guerra vera e sfortunatamente non si tratta di pochi casi isolati: contiamo migliaia di casi di uccisioni e rapimenti in Ucraina».

In quell’incontro a Roma c’era anche la moglie di un uomo politico locale, ucciso dai russi:
«Mi aveva detto: se mi succede qualcosa non denunciare la mia scomparsa perché la polizia è dalla parte dei separatisti. Un’ora dopo il sequestro a casa mia si presentò la polizia che mi chiese di seguirla: ma io su quella macchina avevo notato un nastro con i colori dei separatisti. Non li ho voluti seguire e forse solo per questo mi sono salvata», ci raccontò Elena Rybak.

In Ucraina orientale i filo-russi non sono mai stati un movimento spontaneo, denunciava la Rybak. Il corpo di Volodymir Rybak venne ritrovato in un fiume il 22 aprile 2014.

«Sulla parte destra del cranio di mio marito è stato trovato un foro: era stato colpito con il calcio della pistola sulla nuca e aveva un enorme ematoma sul naso, non aveva più denti e c’erano segni di bruciature su tutto il corpo», Elena ci raccontò con voce rotta dal pianto gli atroci dettagli di come suo marito (ex membro del Consiglio comunale di Horlivka) fosse stato rapito, torturato e ucciso. E di come i separatisti fossero sobillati e manipolati dai militari penetrati nella regione di Donetsk.

«Il caso eclatante di Volodymyr Rybak è stato solo l’inizio di quelle azioni di terrore da parte di Putin nell’est del Paese. Ora pochi ricordano la sua morte, così come il rapimento della donna pilota, Nadezda Savcenko, e i morti di Odessa o la fine di giornalisti come Vyacheslav Veremiy», spiegava Lyudmyla sempre in quell’occasione ormai lontana.

Open Dialogue Foundation è nata in Polonia nel 2009, su sua iniziativa e trae ispirazione dalla Rivoluzione Arancione, del 2004 in Ucraina, e coinvolge organizzazioni di studenti ucraini e movimenti di cittadini e società civile locale. Open Dialogue sostiene la democratizzazione in tutta l’area dell’ex Unione Sovietica, monitorando, attraverso i suoi dettagliai report, i progressi fatti nel campo dei diritti umani.

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