Le guerre si combattono anche sul corpo delle donne. Spesso, anzi, la violenza sessuale diventa un’arma bellica puntata contro i civili e il loro futuro. È quanto sta accadendo in Sudan: oramai da alcuni giorni si susseguono notizie di stupri e abusi contro le donne da parte delle Rapid Support Forces, nella capitale Khartoum. Un comunicato dell’associazione sudanese Hadhreen, giunto il 16 maggio tramite canali whatsapp e social, denuncia che dall’inizio del conflitto (15 aprile scorso) sono stati rilevati dieci casi di violenza sessuale. Tutti perpetrati nelle aree sotto il controllo dei paramilitari al comando del generale Hemedti.
«Due delle vittime hanno confermato che il gruppo che ha violentato le donne apparteneva alla milizia armata e un testimone oculare dice che i soldati che hanno violentato altre due vittime indossavano la stessa uniforme dei membri delle Rapid Support Forces», si legge.
Ampi settori della società civile che continua a resistere sotto il fuoco incrociato del generale Al-Bhuran e del suo rivale Hemedti, denunciano situazioni di abuso e arbitrio. Seleima Ishag, a capo della Combating Violence Against Women Unit del Ministero degli Affari Sociali parla di almeno cinque casi di stupro a Khartoum: tre delle vittime sarebbero donne rifugiate. Un medico ha segnalato altri tre casi, tutti attribuibili ai paramilitari di Hemedti. «Questa guerra è anche il risultato di uno sconvolgimento economico e sociale di cui nessun governo si è mai seriamente occupato», dicono gli esperti. Il grande bacino che ha alimentato e fatto crescere la milizia armata parallela, quella dei mercenari ex Janjaweed alle dipendenze di uno due leader, è in effetti costituito dalle miniere d’oro.
«I due punti di maggior attrito, rispetto ad un eventuale accordo tra i generali – spiega Jose Alcaide, missionario comboniano in Sudan, oggi fuori dal Paese – restano la questione dell’integrazione dei militari in un unico esercito nazionale, e quella della gestione delle risorse minerarie, in particolar modo delle miniere d’oro».
Queste ultime sarebbero dovute passare sotto la giurisdizione di un ministero facente parte del nuovo assetto democratico e civile. Ma fino ad oggi sono state controllate dai paramilitari. È soprattutto sull’oro infatti che l’intesa tra i due si è spezzata.
«Da entrambe le parti c’era una resistenza alla transizione verso la democrazia – precisa il missionario – Secondo Hemedti, sarebbe lui a rappresentare i civili, ma in realtà i civili non si sentono per nulla rappresentati né dai militari né dai paramilitari».
Anche parlare di contractors così come li intendiamo noi in Occidente, non è completamente corretto, suggerisce il missionario. «Hamedti possiede un esercito molto leale: i suoi soldati, eredi dei Janjaweed, nonostante siano mercenari, sono molto devoti», dice. E sentono forte la questione etnica. Dentro questa lotta tra due uomini e i rispettivi eserciti si inserisce la presenza dei famigerati mercenari russi della Wagner.
Un report pubblicato un anno fa dalla organizzazione no-profit Organised Crime and Corruption Reporting Project svelava in dettaglio come il Gruppo Wagner (che oggi sembra essere legato ai paramilitari del generale Hemedti in Sudan), nel corso degli anni abbia in realtà fatto transitare risorse e armi verso il regime sudanese già dai tempi di Al-Bashir, in cambio di un accesso privilegiato all’industria mineraria. Accesso all’oro in cambio di tangenti e armi. Il Sudan – terzo Paese più grande d’Africa dopo Congo e - è anche il terzo maggior produttore d’oro, dopo Ghana e Sudafrica.
La legge obbliga però, come spiega molto bene il sito di inchieste di Radio France International, tutte le compagnie minerarie straniere a garantire a Khartoum il 30% delle quote in modo tale che il governo del Paese possa godere di grossi benefici dalle estrazioni di oro. Questo non avveniva però con le miniere che erano operate dalla M Invest, strettamente legata al Gruppo Wagner e che si assicuravano i proventi per intero. Dal 2020 qualcosa è andato storto e la relazione speciale con il regime e poi con i governi di transizione è saltata. Ma i mercenari russi sono rimasti. E adesso sostengono i paramilitari di Hemedti che nel frattempo hanno ottenuto il controllo delle miniere e dunque dell’oro.
Ma l’intrigo “di palazzo” e di potere, le complesse vicende tra eserciti e mercenari, il coinvolgimento russo e quello saudita - preziosi per la geopolitica – lo sono molto meno per il popolo e per chi in Sudan vive ed opera nonostante le bombe per restare al fianco dei civili inermi.
Dal 20 aprile ad oggi il Sudan si è praticamente svuotato di tutti gli internazionali expat che lavoravano nel Paese a vario titolo, evacuati verso Gibuti e da lì trasportati nei rispettivi luoghi di provenienza, compresa l’Italia. La preoccupazione più grande degli operatori umanitari e dei missionari rimasti in loco è per i milioni di civili intrappolati tra Khartoum, Omdurman e altri centri urbani, con temperature che superano i 40°, rimasti senza più cibo né acqua. L’emergenza è davvero seria.
«Le due forze armate hanno ripetutamente usato armi esplosive nelle aree urbane causando perdite di vite umane, danneggiando le infrastrutture più importanti e lasciando milioni di persone senza accesso alle risorse primarie», denuncia oggi Human Rights Watch.
Interi carichi di scorte alimentari del Programma Alimentare Mondiale, fermi per giorni nella regione del Darfur, sono stati saccheggiati: non hanno ricevuto il via libera per arrivare nelle zone sotto assedio. Il 9 maggio scorso il PAM ha ripreso a distribuire cibo ma le scorte non sono comunque sufficienti: l’Agenzia delle Nazioni Unite prevede di raggiungere 384mila persone in quattro Stati sudanesi - Gedaref, Gezira, Kassala e White Nile, con la speranza di arrivare nel Blue Nile. I morti sembrano oltre 600 al momento ma sfollati e rifugiati arrivano a quota 700mila.
Sudan, denunce di abusi sessuali e violenze sui civili
Giornalista professionista dal 2005, si occupa di diritti umani, economia predatoria in Africa e lotta alla povertà. Ha lavorato nelle agenzie di stampa, da Agi, a Reuters ad Adnkronos.
18 maggio 2023