Braccianti di fragole e cipolle, non schiavi!

Giornalista professionista dal 2005, si occupa di diritti umani, economia predatoria in Africa e lotta alla povertà. Ha lavorato nelle agenzie di stampa, da Agi, a Reuters ad Adnkronos.
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27 maggio 2023

Dalle serre di Roggiano, dove lavorano i braccianti di NoCap, usciti dalla logica schiavistica del caporalato, alla tendopoli infernale e affollata di San Ferdinando. Abbiamo viaggiato nelle campagne calabre, da Cosenza a Tropea, per raccontare due mondi. E capire quali effetti avrà il ‘decreto Cutro’ sulla vita delle persone migranti.

«Qui nelle serre di Roggiano iniziamo a lavorare alle sette del mattino e finiamo alle tre e mezza del pomeriggio; non è un lavoro difficile, ma è pesante. Soprattutto per la schiena, perché bisogna stare chinati per ore a raccogliere le fragole. Però è molto meglio di quando lavoravamo nei campi a Rosarno! Abbiamo un contratto vero e l’azienda ci paga 62 euro al giorno». Sow Dou Dou, senegalese ultracinquantenne, in Italia dal 1992, racconta la sua storia seduto alla balaustra del casolare di campagna dove vive da alcuni mesi. In mezzo al verde intenso e frastagliato di Roggiano di Gravina, in provincia di Cosenza, il riposo profuma di caminetto e sigarette. La luce rosa del tramonto illumina ogni cosa; qualcuno cucina riso e spezie. «È una vita buona, pagano bene anche se i soldi arrivano sempre in ritardo», dice Ali Ceesay che viene dal Gambia. La casa è spaziosa e pulita e Dou Dou la condivide con cinque ragazzi africani che lavorano con lui nell’azienda agricola del circuito NoCap, fuori dalle logiche del caporalato. «Ho moglie e figli in Gambia, e metto quasi tutto da parte per loro», spiega ancora Ali.

Souleymane Ba, ragazzo minuto e timido, racconta che vorrebbe far arrivare sua moglie e i suoi figli dall’Africa. «Andare a lavorare nella serra, tornare a casa la sera, salutare mia moglie che mi aspetta e cucina per me riso e pollo!». Questo il suo sogno.

Casa e lavoro con NoCap

Il nostro viaggio inizia da qui: dal riscatto dei braccianti e dalla loro rinascita. Termina poi nella tendopoli di San Ferdinando, dove 450 persone condannate all’eterno triste presente, sono ammassate da 12 anni in 76 tende sorvegliate a vista. Vediamo la bellezza e poi l’inferno. È nei non luoghi che l’umanità si perde. Come ci lascia intuire Prince, un uomo oramai maturo, arrivato alcuni anni fa a Rosarno, divenuto vittima delle angherie dei suoi stessi compagni di sventura. Prince è come sotto choc, da anni. Vive di carità e di lavoro sporadico, senza permesso di soggiorno.

Ma soffermiamoci ancora nella zona resiliente e forte della Calabria solidale. «Sono stato venditore ambulante a Genova e poi bracciante a Trento dove raccoglievo le mele - prosegue a raccontarci Dou Dou che ha fatto anche la comparsa in diversi film e ci tiene alle sue treccine rasta -. Da lì a Campobello di Trapani, a raccogliere le olive e infine a Rosarno per le arance». Quando incontra Yvan Sagnet, attivista camerunense, laureato in Ingegneria delle telecomunicazioni, ideatore di NoCap, la vita di Dou Dou diventa più stabile. «La quotidianità qui è fatta di lavoro e casa. Casa -lavoro.

Una volta ritirati non si esce neanche per una passeggiata in paese perché non abbiamo mezzi di trasporto», però si respira e si va avanti. Cinque uomini soli in campagna che sognano le loro mogli lontane. «Siamo partiti perché in Africa mantenere gli anziani tocca ai giovani», ci spiega ancora Dou Dou. È una specie di regola non scritta questa.

La Chiesa e monsignor Savino

«I braccianti vengono tutelati in ogni modo – afferma Maria Teresa Sita, volontaria di NoCap - per qualsiasi cosa possono rivolgersi alla nostra associazione che trova loro abitazioni decenti e spaziose. NoCap paga il primo mese di affitto finchè non iniziano a lavorare. Portiamo in casa stoviglie, materassi, coperte affinchè non gli manchi nulla». E in effetti è così che dovrebbe essere, sempre. Perché lavorare nei campi e provenire dalla miseria non è reato da scontare.

La Chiesa calabrese, di cui è espressione monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio, lo sa molto bene.

«La tragedia di Cutro ha cambiato qualcosa e la narrazione dell’immigrazione come un pericolo non è più sostenibile – ci dice -. Quel naufragio ha scosso le coscienze di tutti. Vedere quelle scene, sentire quei pianti e quella disperazione così vicina, così profonda, ci ha aperto gli occhi».

Chi è più consapevole agisce. «All’inizio c’è un lavoro pazzesco da fare per metterli in una condizione dignitosa – dice ancora Maria Teresa -. Se uno dei nostri braccianti ha freddo la notte, se serve il dentista, se manca l’acqua. Tutto…Per la raccolta delle pesche e delle albicocche a Rossano arriveranno nuovi ragazzi e bisogna che abbiano una casa».

La difficoltà più grande è senza dubbio quella di trovare aziende agricole disposte ad assumere una squadra di persone - non schiavi - a condizioni lavorative buone e sottratte al caporalato. Come ci si riesce?

Aziende fuori dai caporali

«Non è facile ma stiamo allargando la rete delle imprese etiche – risponde Gianantonio Ricci, che assieme ad Yvan Sagnet realizza il progetto - Offriamo alle imprese la possibilità di commercializzare meglio i loro prodotti, grazie ad un bollino di garanzia». Le aziende interessate ad abbandonare la strada ‘fuori legge’, come ad esempio la Cooperativa Frutti del Sole di Vibo, stipulano contratti di bracciantato regolari, rispettando un orario di lavoro più “umano”.

Il logo del bollino rappresenta sei mani colorate tese verso l’alto. «Il tutto è iniziato a febbraio del 2019 e al 2022 abbiamo ottenuto un ottimo risultato – spiega ancora Ricci, manager milanese prestato alla Cooperazione -: garantire a 20 braccianti un lavoro continuativo e ‘giusto’ per un anno intero». La scommessa è allargare la rete delle imprese che non sfruttano gli uomini come fossero bestie. «Quest’anno abbiamo un obiettivo ambizioso: far entrare le aziende della patata-coltura della Sila nel circuito etico di NoCap», ci racconta Pino Fabiano, di Migrantes Calabria. «La filiera agricola – conferma Sagnet – è qualcosa di molto complesso. Non si ottengono risultati utili se si interviene solo sul bracciante sfruttato, ma occorre adoperarsi anche per le aziende vittime delle multinazionali e della grande distribuzione».

Nel ghetto di San Ferdinando

«La Calabria ha tre zone agricole per vocazione: la Piana di Gioia Tauro, con gli ulivi e gli agrumi; Lamezia Terme con le sue cipolle rosse, e la Piana di Sibari con le arance, le fragole, le albicocche, i melograni», ci spiega meglio Pino. Attorno a queste aree si sono creati ghetti di persone-fantasma. Uomini-schiavi, per lo più senza permesso di soggiorno, che faticano anche dieci ore al giorno per pochi euro l’ora. Coltivare la terra è una specie di iattura. Una volta finito il lavoro dei campi entrano nell’inferno. Non c’è riposo né cibo buono per loro. Andiamo con Gianantonio Ricci a visitare la tendopoli di San Ferdinando alle porte di Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, dove sono stipate oltre 400 persone.

Per entrare abbiamo bisogno di un permesso speciale della polizia che presidia l’area. Oramai i due poliziotti, un uomo e una donna che non vogliono essere citati, conoscono bene ogni abitante del ghetto e le loro tristi storie. Il caldo è soffocante persino ad aprile; un forte odore di escrementi e cibo avariato ci attende all’ingresso. Una pecora è legata ad una delle 76 tende blu (oramai mangiate dai topi, dopo 12 anni di accampamento): «la faranno fuori alla prossima festa, se tornate non la trovate più», dice la guardia e ci accompagna a visitare la moschea. Procediamo muti tra caldo che toglie il respiro e accumuli di ferraglia. Poca acqua, nessuna possibilità di lavarsi e lavare vestiti, lenzuola, piatti. I pacchi alimentari arrivano solo grazie alla Caritas. Prince ci fa entrare nella sua tenda: non ha voglia di raccontare quello che il poliziotto continua a domandargli incalzante. Di quando i suoi compagni lo hanno aggredito e picchiato di notte. Dentro ci dormono in sei: i materassi sono sporchi, tagliati, pieni di insetti, cibo in scatola ad ogni angolo. Dei piccoli cucinini a gas sono vicini ai materassi. A San Ferdinando si ricreano meccanismi di sopruso interno da parte dei più 'anziani', gerarchie e violenza. Gli uomini perdono dignità, ragione e speranza. «Gli anni passano e loro non se ne accorgono più.

Tutto quello che mettono da parte lo mandano a casa, ma si dimenticano di vivere», racconta il poliziotto. Il ghetto è una delle “istituzioni totali” descritte da Goffman: come i manicomi, le carceri, i campi di sterminio, gli ospedali protetti... «Si sentono al sicuro qui dentro», continua a ripetere il poliziotto. Ma è solo paura della libertà.

Braccianti, cipolle e ‘decreto Cutro’

Questa massa di persone-fantasma rischia di allargarsi con le nuove normative in tema di migrazioni. «Il cosiddetto decreto Cutro ci preoccupa tanto, spiega Pino Fabiano: c’è il rischio di intaccare ulteriormente quelle poche garanzie legate alle vittime di tratta. E chi arriva in Italia può scivolare più facilmente in una situazione di irregolarità. Diventa più difficile la conversione del permesso di soggiorno, più facile entrare nelle maglie del caporalato». Detto in altre parole: con il decreto Cutro i ghetti come San Ferdinando possono moltiplicarsi.

Eppure, «spesso sono proprio gli stranieri a reggere le sorti di interi settori produttivi del nostro Paese ma molti di loro non hanno tutele – ci dice ancora don Francesco Savino - Non è solo una questione di salario basso ma di assenza totale di diritti. Diventano persone vulnerabili ed invisibili». Secondo il vescovo servono assolutamente politiche nuove, di segno opposto rispetto a quelle messe in agenda. Servono «strumenti di inclusione, il rilascio di permessi di soggiorno stabili perché la regolarità giuridica è uno dei primi strumenti di contrasto ad ogni forma di illegalità».

E invece il governo, come lasciano intendere gli operatori umanitari, sembra puntare a penalizzare ulteriormente l’integrazione dei migranti. Come se essere braccianti e stranieri fosse una colpa grave da scontare.
Qui il relativo video:https://youtu.be/XsP9Yu-LALg

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