Parlare di pace per la Palestina oggi è naturale, anche i più incalliti trumpiani riconoscono, seppur timidamente, che Netanyahu adesso esagera e che ci vuole la pace. Molto più difficile ragionare su come si possa arrivare alla pace, quali strade seguire per raggiungere questo obiettivo per evitare che il genocidio del popolo palestinese continui a perpetrarsi. La proposta Trump, che non è una proposta di pace ma di resa incondizionata, ha come unico pregio quello di poter determinare una sospensione dell’eccidio ed a oggi è assolutamente un bene per le popolazioni sfinite di Gaza. Ma non è una pace, non potrà mai esserlo perché non ci sarà mai pace in Palestina senza riconciliazione.
La lettura del testo “Olocausto e Nakba. Narrazioni tra storia e trauma”[1] con una serie di interventi sul tema complesso e terribilmente attuale della situazione palestinese mi ha spinto ad alcune riflessioni che portano in ultima analisi ad affrontare il tema della pace (lontana ma) possibile.
La prima osservazione riguarda le profonde differenze tra questi due eventi - Olocausto e Nakba - che sembrerebbero allontanarli in maniera indiscutibile tanto da non consentire una lettura, se non congiunta, neppure parallela[2].
Mentre l’Olocausto è una esperienza storica per gli ebrei totalmente conclusa con l’ultima guerra mondiale, la Nakba, iniziata nel 1948, si può ritenere assolutamente non conclusa per il popolo palestinese ed i recenti eventi in particolare per la striscia di Gaza ne confermano l’attualità.
All’origine dell’Olocausto c’era una motivazione razzista mentre per la Nakba si deve parlare di colonialismo d’insediamento[3].
Inoltre risulta macroscopica l’asimmetria per gli ebrei che sono vittime del nazismo nell’Olocausto e colpevoli come israeliani nella Nakba nei confronti dei Palestinesi che sono vittime completamente innocenti[4].
Fatte queste osservazioni occorre rilevare che l’Olocausto e la Nakba hanno come elemento in comune quello di rappresentare ognuna la più grande ansia del rispettivo popolo, cioè l’ansia dell’annientamento per gli israeliani e l’ansia del non ritorno per i palestinesi[5].
L’unica strada possibile per superare queste due ansie, è quella di affrontare contemporaneamente le memorie e il presente dei rispettivi popoli: “Fino a quando non sarà risolta la questione della memoria palestinese neppure quella della memoria israeliana potrà essere risolta. Sarà preda dell’ansia e porterà alla continua rimozione e alla distorsione della storia”[6]. La strada indicata tra alcuni dei maggiori studiosi della questione palestinese è quella della creazione di un unico Stato, binazionale, multireligioso (che comprenda anche la religione cattolica) con Gerusalemme come capitale.
La soluzione dei due Stati risulta essere impraticabile sotto ogni punto di vista[7] se pensiamo oltre alla striscia di Gaza alla Cisgiordania e gli insediamenti dei coloni israeliani che hanno portato sul territorio circa 700 mila coloni, tutti ultraortodossi, comunità recentemente ampliati con il piano (che viene chiamato E1) che prevede l’espansione di una colonia già esistente, quella di Maale Adumim, con oltre 3.400 nuove case[8].
Pensare di allontanare i coloni dalla Cisgiordania appare ancora più utopistico della pace. Inoltre questa soluzione dei due Stati non risolve la questione della memoria e dell’ansia collegata mentre affrontare questi aspetti potrebbe essere, al contrario, la forza per la soluzione di un unico Stato. In un testo recentemente tradotto in italiano Maher Charif e Issam Nassar[9] si chiedono: “ma se si giudicasse che la situazione sul terreno rende oggi praticamente irrealizzabile la soluzione dei due Stati, perché non orientarsi verso quella dell’unico Stato, democratico e pluralista, con uguali diritti per entrambe le popolazioni? One Land, Two Peoples, per riprendere il titolo di un libro di Ilan Pappé”. È la tesi sostenuta da Edward W. Said[10] quando afferma: “gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi sono bloccati in un inferno sartriano ([11]) in cui rappresentano gli altri. Non c’è via di fuga. La separazione non può funzionare in una terra così piccola non più di quanto abbia funzionato l’apartheid”.
Assolutamente chiaro come, per poter parlare di questa prospettiva, dobbiamo pensare ad un superamento dell’attuale situazione politica sia in Israele che per i palestinesi, in particolare per la striscia di Gaza. Infatti, è impensabile che i due soggetti che hanno sempre avuto la guerra come base essenziale del loro potere, Netanyahu e la destra ultraconservatrice per Israele e Hamas per i Palestinesi di Gaza, possano pensare di realizzare la pace, prospettiva che comporterebbe il superamento della guerra[12].
Mentre in Israele i partiti di sinistra potrebbero rappresentare una alternativa praticabile al blocco della destra, anche se non immaginabile a breve sotto le emozioni ancora vivide del 7 ottobre 2023, per i palestinesi molto più difficile pensare a qualcosa di alternativo ad Hamas per la striscia di Gaza mentre per la Cisgiordania l’ANP e il vecchio leader Mahmud Abbas non sembrano credibili e forse l’unica personalità in grado di rappresentare tutta la realtà palestinese potrebbe essere Marwan Barghuti, per il quale un cambio di maggioranza in Israele potrebbe aprire le prospettive per l’uscita dal carcere, in un’ottica di riconciliazione la cui suggestione rievocativa con la realtà sudafricana per la quale si arrivò alla soluzione che viene prospettata anche per la Palestina si arricchisce ulteriormente di suggestioni con la liberazione di Nelson Mandela[13].
Qualcosa si può fare concretamente per rendere più fragile la posizione del governo Netanyahu. Qualcuno ritiene che il riconoscimento dello Stato di Palestina possa essere utile[14] mentre per altri, magari non in alternativa al riconoscimento dello stato di Palestina ma unitamente, la strada per ottenere qualche risultato è quella del BDS[15].
Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni: il movimento Bds è stato lanciato nel 2005 dalla società civile palestinese all’interno della Palestina e in diaspora. Chiede la fine dell’occupazione militare, del sistema di apartheid e il rispetto del diritto dei rifugiati di tornare nelle proprie terre e ricevere un risarcimento in conformità con il diritto internazionale.
Se tutti quelli che manifestano per la Palestina e che si indignano per il genocidio perpetrato dal governo Israeliano decidessero di seguire questa strada, se i governi europei si impegnassero, anche sulla spinta dell’opinione pubblica nazionale, a interrompere le relazioni commerciali con Israele certamente il governo di quel paese risulterebbe meno forte e potrebbe dischiudersi una prospettiva di cambio politico[16].
Questo possiamo fare concretamente come persone singole e possiamo pretendere dai nostri governi. L’unica cosa che non possiamo fare è voltarci dall’altra parte perché come ha detto splendidamente Valeria Parrella: “Se il nostro vivere occidentale abituato alle agende da rispettare, ai piccoli e grandi dolori, al lavoro e al riposo, alle strade da attraversare, sente che non c’è più tempo per nulla. Chi dovesse essere afferrato dall’inanità della vita, e si dovesse chiedere ma perché? Eppure ho fatto ho detto ho sentito ho scritto, allora perché? Allora è Gaza”[17].
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[1] “Olocausto e Nakba. Narrazioni tra storia e trauma” a cura di Bashir Bashir e Amos Goldberg, ed Zikkaron, 2023 ed. italiana.
[2] Nel testo si parla di Tibaq, citazione coranica che ha letteralmente il significato di antitesi salvo poi trovare nella stessa espressione momenti di possibile contatto quasi come una lettura contrappuntistica della storia palestinese come suggerisce Edward Said nel testo citato Cultura e Imperialismo, Rifqi Abu-Remaileh, Il romanzo come contrappunto, in Olocausto e Nakba, cit., pagg. 376 e 377.
[3] Settler colonialism, introduzione a Olocausto e Nakba, cit., pag. 41.
[4] Nel discorso al congresso sionista del 20 ottobre 2015 il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che Hitler venne influenzato dal Gran Mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husayni per la progettazione della soluzione finale per gli ebrei: “all’epoca Hitler non aveva intenzione di eliminare gli ebrei ma solo di espellerli. Il muftì gli disse: “se li espelli verranno qui”. Hitler gli chiese: “cosa devo fare con loro?” rispose “Bruciali”. Pag. 211. Ovviamente si tratta di un falso storico ma che mira probabilmente a sanare l’asimmetria ricordata.
[5] Sulla minaccia dell’annientamento sempre imminente per gli israeliani e sull’idea del ritorno palestinese che perseguita Israele vedi Amnon Raz-Krakotzkin, Benjamin, l’Olocausto e la questione Palestinese, in Olocausto e Nakba, cit., pag.122
[6] Amnon Raz-Krakotzkin, Benjamin, l’Olocausto e la questione Palestinese, cit., pag.122
[7] Paola Caridi, Hamas dalla resistenza al regime, Feltrinelli, 2023 seconda edizione, pag. 372, scrive: “La soluzione dei due stati è ormai impraticabile da anni per i fatti sul terreno compiuti dai coloni e dal governo israeliano. Fa parte solo della retorica ipocrita della comunità internazionale”.
[8] “Tutto il mondo la scorsa settimana alle Nazioni unite ha detto che i Due Stati, Israele e Palestina, sono l’unico cammino possibile. E penso che il Presidente Trump cominci a prenderlo in considerazione. Certo, Israele rifiuta tutto ciò e sino a quando non sentirà una pressione legale, politica ed economica non cambierà rotta. “Queste le dichiarazioni rilasciate dalla ministra degli esteri dell’Anp Varsen Aghabekian Shahin. Il Manifesto, 30/9/20215, dopo che Donald Trump e Benyamin Netanyahu hanno discusso del piano americano in 21 punti per una ipotesi di pace. Immediata la risposta di Netanjhau che, pressato dall’ala destra del suo governo, in un video pubblicato sul suo profilo X ha escluso che nel piano Trump ci sia la possibilità di un riconoscimento di uno stato palestinese: "Abbiamo detto che ci saremmo fermamente opposti a uno stato palestinese", aggiunge, sostenendo che Trump è d'accordo con lui sul fatto che sarebbe una "massiccia ricompensa per il terrore”, La Repubblica 1/10/2025.
[9] Maher Charif e Issam Nassar, I Palestinesi, Storia di un popolo e dei suoi movimenti nazionali, Carocci editore, 2025, pag. 14.
[10] Edward W. Said, La pace possibile, il Saggiatore, 2004, pag. 76.
[11] Per Jean-Paul Sartre, “A porte chiuse”, l’inferno sono gli altri, i diavoli sono gli uomini, che ci attorniano, ci toccano, che respirano la nostra stessa aria, che sfiorano la nostra carne, ma ben peggio, ci guardano e il loro forcone è lo sguardo.
[12] Paola Caridi, cit., una delle più profonde studiose di Hamas scrive: “è un movimento nazionalista religioso che ricorre al terrorismo – così come il movimento sionista fece durante la lotta per la creazione dello stato- nella convinzione sbagliata che quello sia l’unico modo per far terminare un’occupazione oppressiva”, pag. 364.
[13] La parola chiave è riconciliazione, che usava l’arcivescovo Desmon Tutu nella Commissione per la verità e la riconciliazione, presa come riferimento dal gruppo di genitori “ the Parents Circle”, genitori ebrei ed arabi che hanno perso figli nel conflitto e si battono pacificamente perché altri non debbano provare lo stesso dolore:” far parte del circolo non vuol dire perdonare , perché è una scelta personale; significa voler fermare il ciclo di violenza”, Anna Momigliano, Fondato sulla sabbia, Garzanti, 2025, pag. 130.
[14] “Riconoscere la Palestina deve essere l’inizio di un processo che comporta sanzioni e l’aumento delle pressioni internazionali, scrive Anthony Samrani, L’Orient-Le Jour, quotidiano libanese, Internazionale 26/9/ 2025 ed in effetti al 23 settembre 2025, 157 dei 193 stati membri delle Nazioni Unite hanno riconosciuto lo Stato della Palestina
[15] Per una informazione su BDS vedi l’articolo di Enrica Muraglie, Il Manifesto, 23 settembre 2025, “Omar Barghouti: «C’è una volontà collettiva: porre fine alla complicità», Intervista al co-fondatore della campagna Bds”.
[16] La pensa diversamente Anna Foa, Il suicidio di Israele, Laterza, 2024, pag.84, per la quale: ”il risultato ( del BDS) è quello di accrescere il senso di solitudine di Israele, non quello del Governo che si vanta del suo isolamento ma delle forse progressiste israeliane scoraggiandole nella loro battaglia”.
[17] Valeria Parrella, La Striscia dentro di noi, Il Manifesto, 8 maggio 2025