04 maggio 2018
        
        
        Quanto tempo è che non si sente parlare di una rivoluzione democratica? Dei cittadini che invadono le strade e pretendono le dimissioni di una figura autoritaria nel nome del potere al popolo, del ritorno a un principio di responsabilità e rappresentanza? E dove meno che mai si sentono echeggiare i canti e i tamburi di una rivoluzione pacifica nel nome dei diritti? Là dove meno ce lo si poteva aspettare, improvvisamente la stagnazione economica e la continuità ottusa e prepotente del potere hanno dato il proprio frutto più inatteso: una rivoluzione di velluto nel cuore dell’Eurasia, in Armenia.
Ci troviamo nel pieno degli eventi, in questi giorni. Lontana dall’attenzione di quei media che tanto spazio avevano dato alle rivoluzioni colorate, isolata ed asincrona rispetto ai moti dell’ultima decade, l’Armenia sta maturando la propria epifania civica, circondata da una critica cautela di vicini e meno vicini che tutto avrebbero voluto meno che una prova di forza popolare antigovernativa coronata da successo: i confinanti Iran, Azerbaijan eTurchia, e il protettore storico, la Russia.La Rivoluzione di Velluto 2018
Ne avevamo già parlato su Tempi Moderni ( http://www.tempi-moderni.net/
Un paese bloccato, da una parte. Una classe politica sempre più votata al si salvi chi può, in mezzo. E dall’altra parte una fetta esigua di potenti, isolati e delegittimati, una cinquantina di repubblicani seduti in una stanza di parlamento, come una bolla d’aria che galleggia sul fiume di manifestanti. Una realtà instabile e insostenibile, che porta il partito Repubblicano a dichiarare il 2 maggio che non si opporrà all’incarico di un candidato proposto da un terzo del parlamento. E questo è il bivio su cui ci si trova ora: l’8 maggio, data del secondo voto in Parlamento, si sta per svoltare verso l’Armenia di Pashinyan.
Un contesto regionale ostile. La guerra non risolta per il controllo del Nagorno-Karabakh ( http://www.tempi-moderni.net/
      