Il tempo delle scelte: salario minimo per la dignità universale del lavoro

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29 dicembre 2021

La Costituzione Italiana è veramente un’opera straordinaria non solo da un punto di vista politico e giuridico, ma anche sociale e persino lessicale. Per trovare la risposta al problema che assilla il mondo del lavoro, in particolare il lavoro povero, quello cioè che non consente a chi lavora di sopravvivere ponendolo in una condizione di assoluto disagio sociale, basterebbe leggere il testo dell’art. 36 e cercarne fino in fondo lo spirito.

Si legge nell’articolo citato :” Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.

La prima osservazione da fare è che una serie di aggettivi che nell’ultimo periodo sono stati accostati al lavoro sono tutti incostituzionali: il lavoro gratuito non è lavoro, al massimo è volontariato ma nessuna scusa di formazione potrà rendere l’impegno del lavoratore non meritevole di un riconoscimento economico. Non è costituzionale il lavoro nero perché viene offeso il lavoratore e uno Stato che vuole rispettare i principi della propria Costituzione (e non dimentichiamo mai che l’art. 1 della Costituzione dichiara che: ”L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”) deve combatterlo senza alcun timore o indugio. Non è costituzionale il lavoro precario, neppure se ammantato dall’eufemismo della flessibilità, perché il lavoro deve assicurare un'esistenza libera e dignitosa ed il lavoro “usa e getta” non la assicura. Non è costituzionale il lavoro povero perché proprio ai sensi dell’art.36 ricordato chi lavora deve vedersi garantita un’esistenza libera e dignitosa.

Allora veniamo al tema di riflessione, che è quello del salario minimo, cioè la possibilità che con legge dello Stato si preveda una soglia minima sotto la quale il lavoratore non può essere pagato.

Un punto deve essere chiaro: per i sindacati, la lotta per un salario equo rappresenta un elemento costitutivo della loro ragion d’essere, per rendere il lavoro condizione effettiva di inclusione e cittadinanza, sconfiggere la povertà ed evitare la competizione distruttiva fra lavoratori e aziende. Questa premessa non può consentire alle forze sindacali un atteggiamento pregiudizievolmente negativo rispetto alle proposte sul salario minimo. Come risposta al social dumping sul costo del lavoro lo strumento del salario minimo è elemento essenziale, se accompagnato da adeguate misure per renderlo effettivo.

Quello che sorprende invece è la contrarietà dei sindacati maggiormente rappresentativi secondo i dati Inps. Lo stesso Ministro Orlando recentemente ha dichiarato che non può esserci un veto per il salario minimo che è condizione per combattere il lavoro povero. È evidente che il salario minimo non è sufficiente per eliminare il lavoro povero, troppo complesso questo fenomeno e legato a molti fattori, ma certamente è una condizione importante che consente di superare il ricatto diritti\salario.

Non possiamo non considerare il contesto attuale tanto delicato e teso come quello presente che può portare a conseguenze sociali e politiche esplosive: il precariato non individua solo la sofferenza derivante dall'incertezza del posto di lavoro ma anche un'insicurezza nella stessa identità e l'impossibilità di esercitare un controllo sul tempo, situazione alla quale occorre reagire con politiche sociali di workfare, occorre mettere in campo ambiziose riforme sociali e politiche che vadano in direzione del riconoscimento del diritto alla sicurezza finanziaria. Oggi assistiamo ad un vero e proprio boom della povertà: nel 2020, 2 milioni di famiglie italiane vivevano in povertà assoluta, con un aumento rilevante (+104,8%) rispetto al 2010 (980.000). Tra le famiglie cadute in povertà durante il primo anno di pandemia, il 65% risiede al Nord , 21% nel Mezzogiorno, 14% al Centro. Il rapporto Censis “Dubbi, paure, inquietudine e povertà ecco l’Italia in pandemia” evidenzia anche come la pandemia abbia accentuato il senso di vulnerabilità: il 40,3% degli italiani si sente insicuro pensando alla salute e alla futura necessità di dover ricorrere a prestazioni sanitarie. La pandemia dopo avere unito in un primo momento il nostro Paese, consentendo il superamento della prima difficilissima fase sanitaria ed economica (chi non ricorda il motto “andrà tutto bene” che i più attrezzati di visione sociale completavano “se andrà bene a tutti” come infatti non è avvenuto) rende oggi la situazione ancora più difficile creando veri e propri tumulti, figli non solo e non tanto di acritiche posizioni no-vax quanto piuttosto dall’esasperazione del momento sociale e della povertà sempre più pervasiva nella intera società con l'estrema destra che ritorna protagonista della scena politica.

È il momento di avere coraggio ed affrontare la situazione.

Il 14 maggio 1954, Teresa Noce e Giuseppe Di Vittorio furono primi firmatari della prima “proposta di Fissazione di un minimo garantito di retribuzione per tutti i lavoratori”, non certo due persone che volevano ridurre il potere contrattuale del sindacato. Le motivazioni che spinsero Teresa Noce e Giuseppe Di Vittorio a proporre una tale proposta di legge erano da ricercarsi nella situazione salariale della prima metà degli anni Cinquanta, definita propriamente precaria e aggravata dai licenziamenti per rappresaglia politico-sindacale, dalla smobilitazione di interi impianti industriali e dall’immigrazione nei centri urbani di una forza lavoro rurale alla ricerca di un’occupazione permanente. L’obiettivo dichiarato era quello di dare applicazione all’articolo 36 della Costituzione, garantendo ai lavoratori e alle lavoratrici una retribuzione non solo commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, ma anche sufficiente ad assicurare a loro e alle rispettive famiglie un’esistenza libera e dignitosa. La proposta fissava infatti un salario minimo garantito (orario e giornaliero) per tutti i lavoratori, indipendentemente dal sesso o dall’età . Oggi nella sostanza le tutele per i licenziamenti sono tornate ai livelli pre-statuto, la situazione salariale è drammatica, l’immigrazione non proviene più dalla forza lavoro rurale ma dal resto del mondo quindi appare ragionevole pensare che lo stesso coraggio il sindacato dovrebbe avere anche oggi.

Occorre aprirsi al confronto, avere occhi, orecchie e sensibilità per sentire il disagio ed evitare che sia intercettato per fare esplodere la rabbia, rappresentare le ragioni di chi è in difficoltà ed essere dalla loro parte senza incertezze. È il momento delle scelte, quelle che per troppo tempo non hanno fatto i partiti di sinistra e che devono fare le altre parti sociali ed in primo luogo i sindacati.

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