La strada che Donald Trump ha intrapreso per riaffermare l’assoluto primato delle fonti fossili su qualsiasi altra produzione energetica è molto accidentata. Sono diversi i punti critici del suo impegno fossile che meritano di essere analizzati, anche contro diffusi stereotipi e semplificazioni mediatiche e politiche.
Iniziamo dal fattore tempo, che è sicuramente quello più rilevante per le nostre valutazioni. Tra 45 mesi Donald Trump non potrà più esercitare il suo mestiere di Presidente della più grande potenza militare ed economica del pianeta. Il 22° emendamento della Costituzione americana infatti impedisce a coloro che sono stati eletti per due mandati, anche non consecutivi, di ricandidarsi: a meno di altri colpi di mano come quello avvenuto il 6 gennaio 2020 a Capitol Hill, s’intende.
A quella scadenza Trump ci arriverà nel ruolo della cosiddetta “anatra zoppa”, cioè di colui che, ormai a fine mandato, non ha più la forza di esercitare il suo potere sul Parlamento per indurlo a rispettare la sua volontà. Questo perché nel novembre 2026 si terranno le elezioni del Midterm (voto di metà mandato) con le quali vengono rieletti tutti i 435 componenti della Camera dei Rappresentanti con diritto di voto (altri 6 sono delegati, ma senza tale diritto) oltre a un terzo dei 100 membri del Senato. Contemporaneamente verranno eletti 36 Governatori dei 50 Stati che compongono la Federazione USA.
Tradizionalmente queste elezioni rappresentano un inappellabile giudizio sull’operato del Presidente in carica. Per questo Trump ha a disposizione appena un anno e mezzo di tempo per realizzare il suo pericoloso programma, visto che non era riuscito a realizzarlo già nel primo mandato.
Il primo ostacolo glielo ha “piazzato” tre anni fa proprio il suo predecessore Joe Biden con l’approvazione nell’agosto 2022 dell’IRA (Inflation Reduction Act) che ha messo a disposizione delle famiglie americane 891 miliardi di dollari per i miglioramenti energetici domestici: si tratta del più grande investimento americano sulla crisi climatica mai effettuato la cui cifra è superiore a quella stanziata con il il programma Next Generation dall’UE.
Oltre a consentire l'inevitabile passaggio dell'economia americana alle rinnovabili, già il titolo di quel provvedimento la dice lunga sull’obiettivo finale che intende raggiungere: risolvere una volta per tutte il problema della “fossilflation”, cioè contenere e invertire il costo crescente dell’energia legato da un lato alla volatilità dei prezzi delle fonti fossili e dall’altro a quella che in gergo tecnico si chiama “legge del rendimento decrescente”. Questa legge sta a indicare che i costi di estrazione delle materie prime non rinnovabili (petrolio, carbone e gas, ma anche uranio e litio) aumenteranno sempre di più man mano che si esauriranno i giacimenti collocati nei luoghi dove è stato più facile e conveniente estrarli. La loro estrazione in sostanza terminerà quando il guadagno ottenibile si avvicinerà pericolosamente al prezzo di produzione, non quando queste materie saranno effettivamente esaurite. L’inflazione dei prezzi al consumo non può fare altro che seguire lo stesso, inevitabile destino.
Ora, la presunta potenza energetica su cui sta facendo leva il “Presidente colpevole ma non condannato” per imporre al mondo la sua visione, sta in piedi con la sola gamba del fraking: un costoso e inquinante sistema di estrazione che consente la rottura e la frantumazione delle rocce impregnate di idrocarburi e gas che altrimenti non sarebbero estraibili. L’estrazione avviene con un getto a fortissima pressione di acqua, sabbia e amalgamanti chimici che dovrebbero riempire il vuoto geologico così creato: il condizionale è d’obbligo perché ad oggi nessuno sa cosa effettivamente accadrà con questo tipo di iniezioni.
È per questo motivo che Trump intende annettersi anche il Canada, oltre alla Groenlandia. Nell’estesa provincia canadese dell’Alberta ci sono infatti una grande quantità di giacimenti contenenti sabbie e rocce schisto-bitumose adattabili all’uopo. Le stime quantitative dicono che questi giacimenti potrebbero colmare il fabbisogno energetico degli USA per i prossimi 50 anni, ma non dicono a quale prezzo. È altamente improbabile comunque che ciò possa avvenire entro ottobre dell’anno prossimo, cioè in tempo utile per le elezioni del Midterm.
Poi c’è l’ostacolo più difficile da superare e che, in ultima analisi, è anche il più paradossale da affrontare per Trump. Più della metà dei soldi stanziati con l’Inflation Reduction Act di Biden sono già stati utilizzati e/o comunque impegnati proprio negli Stati della Federazione che gli hanno permesso di essere rieletto: sono gli stessi Governatori di questi Stati che si stanno ribellando alla prospettiva di vedere cancellati gli incentivi statali. Non solo perché le misure adottate stanno producendo decine di migliaia di nuovi posti di lavoro (come da previsione), ma anche perché gli interventi già realizzati riescono effettivamente a stabilizzare i prezzi al consumo: prima e principale sicurezza di cui necessitano le fasce più svantaggiate della popolazione.
Il Texas, ad esempio, che nell’immaginario collettivo rappresenta lo Stato dei petrolieri per eccellenza, oggi dispone della produzione di energia solare ed eolica più di qualsiasi altro Stato americano, non perché i politici locali del Partito Repubblicano si sono improvvisamente innamorati delle rinnovabili, ma solo perché hanno scoperto che si tratta di una forma molto più economica per produrre energia. Ci sono arrivati anche grazie alle convincenti pressioni delle potentissime lobby religiose, come il “Texas Impact”: un’organizzazione molto articolata fatta di congregazioni e gruppi religiosi di estrazione protestante che si occupa, tra l’altro, di far diventare le chiese e i luoghi di culto dei punti di aggregazione delle Comunità Energetiche locali.
Sul fronte cattolico inoltre si è formata recentemente anche l’organizzazione “Francesco Collaborative” composta da investitori credenti che finanziano progetti ispirati alla dottrina sociale della chiesa e dall’enciclica “Laudato Si” di Papa Francesco. Progetti del genere si stanno sviluppando anche in Italia, ad esempio nella diocesi di Cremona.
Considerando che tutti gli Stati USA collocati ai primi posti nella graduatoria degli incentivi di Biden sono tra quelli che hanno maggiormente contribuito alla rielezione di Trump sarà molto, molto difficile non solo per i Governatori interessati, ma anche per i Senatori e i Componenti della Camera dei Rappresentanti repubblicani andare a spiegare ai loro elettori che è meglio ritornare alle condizioni di quando stavano peggio.
Chissà cosa ne pensa di tutto questo l’unica Capo del Governo dei paesi europei che oggi può interloquire direttamente con l’attuale amministrazione USA. Non fosse altro perché anche lei dovrà ripresentarsi davanti agli elettori tra due anni. Un tempo per nulla lungo e facile per una Presidente che rigetta la conversione ecologica e i cambiamenti climatici che considera espressione di una ideologia ambientalista diffusa.