In questi mesi si sono moltiplicate le iniziative in ricordo di Rocco Scotellaro, nel centenario della sua nascita e a settant'anni dalla morte. Scrittore, politico, poeta ed esponente del meridionalismo, insieme a una generazione di studiosi che contribuì all'elevazione del meridione come problema storico e all'elaborazione e ideazione di ricerche e programmi di "pensieri lunghi". Di tutto questo parliamo con il presidente dell’Accademia della Ruralità “Giuseppe Avolio”, Alfonso Pascale esperto di sviluppo locale e innovazione sociale, vice-presidente nazionale della Confederazione Italiana Agricoltori dal 1992 al 2002.
Chi era Rocco Scotellaro?
Un ragazzo che ha avuto lo stesso destino di tanti altri ragazzi di Basilicata e dell’intero Mezzogiorno. Di ieri e di oggi. Anche se sono trascorsi settant’anni dalla sua morte e sono avvenuti profondi mutamenti sul piano culturale, economico e sociale, il destino dei ragazzi della generazione di Rocco è quasi il medesimo dei ragazzi meridionali di oggi. Si formò dove le sue condizioni economiche permettevano di farlo: nelle scuole conventuali, acquistando una profonda cultura classica e letteraria. Maturò nel clima della guerra e dello stato di miseria ancor più grave che si avvertiva nell’immediato dopoguerra. Contribuì alla costruzione della democrazia. Con la profonda consapevolezza che la lotta della sua generazione per la democrazia coincidesse con l’ingresso suo e dei suoi coetanei in quella che egli definiva “vita del lavoro”, intesa come “coscienza della propria storia”. Questo è il significato del suo impegno come scrittore e poeta, come dirigente socialista, come sindaco del suo paese, come ricercatore. Nella sua Tricarico, egli tentò di realizzare un modello di democrazia partecipata e decentrata che allargasse le potenzialità nell’assunzione diretta dei bisogni dei contadini e garantisse una responsabilità plurale. Tale percorso era per lui la strada maestra per la giustizia sociale. Il suo metodo politico era fondato sulla medesimezza umana e culturale nel rapporto coi contadini. Un metodo efficace che assicurava il consenso della popolazione alla sua iniziativa e permetteva ai contadini di considerare il poeta uno di loro, nonostante egli fosse figlio di un ciabattino e di una sarta e non provenisse direttamente dal loro mondo.
Cosa ha rappresentato per il meridionalismo?
Rocco avvertì con molto anticipo rispetto ad altri i segnali di crisi del movimento per la terra e per la rinascita del Mezzogiorno. Intuì immediatamente che il clima politico indotto dal nuovo ordine mondiale e dalla Guerra fredda aveva mandato in soffitta il solido e limpido impianto culturale meridionalista, rappresentato dal Partito d’Azione. E che lo spazio politico era stato occupato da partiti molto più sensibili al conseguimento immediato del consenso. Si convinse, pertanto, che la battaglia per affermare i valori e i diritti dei contadini nella società non si potesse vincere con lo scontro frontale, muro contro muro. Scrisse in un appunto di quegli anni: “Lo Stato e l'opposizione si scontrano nel Mezzogiorno come su un campo straniero: essi badano alle affrettate risoluzioni elettoralistiche senza pensare ad un piano organico di rinascita. I piani regionali li fanno con la tecnica dell'indifferenza politica alcune brave persone incapaci di azione e di volontà politica. Le assisi dei comunisti, malgrado l'imperizia e la demagogia, sono, in un certo senso, più significative dei piani tecnici”. Ma non volle mai aderire al Partito comunista e preferì militare nel più piccolo Partito socialista. Era, infatti, insofferente a un approccio alla politica di tipo movimentista e tattico. Detestava le strumentalizzazioni del movimento contadino da parte di chi era interessato a condurre solo lotte di retroguardia. E lo infastidiva l’approssimazione con cui si guardava alle specificità delle categorie sociali. Ad esempio, non condivideva il modello organizzativo della CGIL che teneva insieme braccianti e coltivatori. Un modello che, di fatto, nascondeva un’avversione verso i coltivatori diretti e i piccoli proprietari, considerati “più esosi” dei padroni. Un modello che negava il carattere d’impresa di queste figure sociali delle campagne. Furono tali posizioni fortemente critiche verso i partiti e i sindacati che indussero Scotellaro, negli ultimi tre anni della sua breve esistenza, ad abbandonare la politica attiva. Scelse, dunque, di formarsi come scienziato sociale sotto la guida di Manlio Rossi-Doria per armarsi di strumenti culturali che la sinistra non possedeva. Rocco elaborò così un metodo di indagine fondato sull’intervista qualitativa e sul racconto autobiografico e si dedicò alla stesura di “L’uva puttanella” e di “Contadini del Sud”, opere rimaste purtroppo incompiute per la sua prematura scomparsa. Egli tornò, dunque, a rapportarsi in forme nuove coi contadini, non solo con quelli della sua Tricarico e della sua regione, ma coi contadini dell’interno Mezzogiorno e, soprattutto, delle zone interne che dall'antica stavano passando a una nuova e più dura disperazione, quella che metterà capo alla grande emigrazione meridionale dei due decenni successivi. Con la collaborazione di Scotellaro e Gilberto Marselli, Rossi-Doria aprì l’Osservatorio di economia agraria di Portici alla sociologia. In ciò fu agevolato dall’arrivo frequentissimo di studiosi americani, attratti dal “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi e dal desiderio di studiare le radici culturali degli italiani immigrati in Usa. In Italia, la sociologia era stata bandita da Benedetto Croce e Giovanni Gentile. E agli inizi degli anni Cinquanta si stavano compiendo i primi sforzi per reintrodurla. A Torino Nicola Abbagnano e Franco Ferrarotti stavano avviando i “Quaderni di Sociologia”. Anche la Svimez aveva costituito la sezione sociologica con Giorgio Ceriani-Sebregondi che parteciperà alla elaborazione dei Trattati costitutivi della Comunità economica europea. Dal sodalizio del Gruppo porticese con la sezione sociologica della Svimez nacquero gli studi preliminari per il “Piano Lucano”. Segretario del gruppo di studio fu Scotellaro, a cui venne affidata un’indagine sulla scuola in Basilicata, pubblicata successivamente su “Nord e Sud”.
La sua lezione è ancora attuale?
L’attualità di Rocco Scotellaro è nel considerare il Mezzogiorno d’Italia non già un luogo mitico dove preservare una immobile civiltà contadina dai rischi della modernità, ma una realtà formata da persone che vanno guardate per quel che sono ed esprimono, come individui, nella loro forza e nella loro individuale capacità di rinnovamento e sviluppo. Nelle sue opere, Rocco ci fa toccare con mano quanto sia chiara la coscienza che anche i più rozzi tra i contadini hanno di sé, la linea di condotta che essi perseguono nel duro mondo nel quale sono nati e nel quale vivono, senza inutili ribellioni, ma con la volontà di cambiarlo nella misura delle loro possibilità. C’è nel Sud un realismo che è fatto di utopia concreta, ma che spesso viene confuso per pessimismo cosmico e fatalismo. Per questo è necessario che i meridionali parlino, raccontino i fatti che li riguardano, esprimano sentimenti e giudizi con il loro particolare linguaggio. Solo così quel realismo manifesta le sue potenzialità. E viene alla luce quel tratto culturale tipico delle persone del Sud che è la coscienza e il rispetto della personalità degli altri. Oggi che le sfide sono diventate globali, come il clima, la sicurezza alimentare, i divari demografici e le migrazioni, la concezione che Scotellaro aveva del nostro mondo contadino si può efficacemente applicare all’universo contadino del Sud del mondo. Dovremmo solo prendere coscienza dell’opportunità che ci viene proposta dall’immigrazione per rimettere in moto il meccanismo di trasmissione generazionale. Vero è che, come recenti studi dimostrano, il tasso di natalità tra le donne di origine straniera si abbassa una volta trasferite in Italia. Ma uno stop al declino demografico potrebbe più rapidamente essere conseguito oltre che attraverso politiche generali a vantaggio delle giovani coppie, anche creando due condizioni di base. La prima è culturale: prendere atto che le migrazioni sono un fenomeno strutturale da governare nazionalmente e a livello europeo, mediante ingressi selettivi. La seconda è una condizione politica: occorre integrare in profondità gli immigrati, trattando i loro figli come i nostri, attraverso l’educazione, l’istruzione, il lavoro. Bisognerebbe porre al centro dell’attenzione la grande questione del Mediterraneo: luogo di incontro/scontro tra Occidente e Oriente, tra democrazie liberali e regimi autoritari, tra religioni e fedi diverse. Luogo dove scorre un terzo del traffico commerciale mondiale; dove passano le infrastrutture informatiche intercontinentali; dove si realizza il grosso del turismo mondiale; dove si ricava o si trasporta gran parte del fabbisogno energetico per tutti i paesi rivieraschi; dove si colloca uno dei punti nevralgici dei cambiamenti climatici. Per evitare l’instabilità del pianeta occorrerebbe dividersi i compiti. E l’Ue dovrebbe prendersi cura dell’Africa, costruendo coi paesi di quel continente un grande patto per lo sviluppo. Scotellaro ci ha lasciato in eredità l’idea che non c’è sviluppo senza cultura. Il grande compito della cultura oggi è quello di leggere il mondo in cui viviamo. E noi tutti, come individui e come umanità, dovremmo fare ogni sforzo per capirlo e trovare così il nostro giusto posto nel mondo.
Quali erano i suoi punti di riferimento culturali?
Sicuramente la grande tradizione del pensiero meridionalistico, da Croce a Gramsci, da Fortunato a Nitti, da Salvemini a Dorso. E poi una serie di intellettuali a cui si lega con intensi vincoli di amicizia. Ho già ricordato il sodalizio con Rossi-Doria, da cui Rocco riceve stimoli e suggerimenti nel perseguire un metodo rigorosamente sociologico nella sua attività di ricercatore. E poi ci sono Tommaso Fiore, Tommaso Pedio, Ernesto De Martino, Carlo Levi, Cesare Pavese, Elio Vittorini, Amelia Rosselli, Ernesto Codignola, Aldo Capitini, Carlo Cassola, Leonardo Sciascia. Per comprendere la temperie culturale in cui si forgia la figura intellettuale di Scotellaro è significativo ciò che il poeta annota su un biglietto ritrovato dal suo amico fraterno Rocco Mazzarone, medico e studioso meridionalista: “Benedetto Croce subito dopo la guerra scrisse che i giovani hanno un solo fondamentale problema: di maturare, di diventare adulti, di passare dalla fioritura al frutto. […] Sebbene siano crudeli come tutte le verità e sebbene ci abbiano sconvolti quando le sentivamo, oggi si possono accettare senz'altro quelle parole: sempre i giovani hanno dovuto e devono maturarsi al clima del loro tempo”. È la costante riflessione che impegna Rocco sul contesto storico in cui una persona diventa socialmente matura. Nell’appunto egli ricordava il clima del Risorgimento e la figura del giovane scrittore e patriota lucano Luigi La Vista, caduto sulle barricate a Napoli il 15 maggio 1848. E faceva il raffronto tra quella lontana vicenda del XIX secolo e il clima costituente che si respirava con la nascita della democrazia repubblicana. Oggi Scotellaro – sull’onda di quella sua riflessione - si lascerebbe coinvolgere dal clima costituente di un nuovo ordine mondiale, dopo gli sconvolgimenti che hanno fatto seguito all’invasione russa dell’Ucraina, e darebbe il suo contributo per edificare la democrazia oltre lo Stato, a partire dalla riforma del Trattato sull’Ue. Ecco il destino dei ragazzi come Rocco: maturare e diventare adulti nel clima del loro tempo.