Comunicato di solidarietà a Studenti Sapienza for Palestine e Comitato Sapienza per la Palestina

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20 aprile 2024

Il comitato estensore della lettera per la sospensione del bando MAECI esprime piena solidarietà alle studentesse e agli studenti della Sapienza in mobilitazione contro gli accordi di collaborazione scientifica tra Italia e Israele, caricati violentemente dalle forze dell’ordine durante un corteo pacifico davanti alla loro università.

La protesta spontanea è scattata a causa del rifiuto, da parte del Senato Accademico della Sapienza in seduta congiunta con il CDA, di ricevere una delegazione studentesca e discutere la lettera sottoscritta da centinaia di studentesse, studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo per la sospensione delle relazioni con gli atenei israeliani e la rescissione degli accordi con l’industria bellica. L’iniziativa si inserisce all’interno delle numerose mobilitazioni che si stanno diffondendo negli atenei e enti di ricerca italiani in queste settimane per estendere la richiesta di sospensione delle collaborazioni scientifiche tra Italia e Israele previste dal bando MAECI a tutte le collaborazioni istituzionali tra università italiane e israeliane e tra università e aziende implicate nella produzione di tecnologie e dispositivi militari. Nello specifico, la lettera presentata, dai comitati Studenti Sapienza for Palestine e Comitato Sapienza per la Palestina e sostenuta da 2500 firme, chiedeva la sospensione immediata degli accordi attuali e futuri con le università israeliane; di quelli con le aziende, gli enti e le fondazioni convolte nella produzione militare, il riconoscimento pubblico da parte dell’Ateneo della responsabilità dell’esercito israeliano nel massacro dei civili palestinesi e l’applicazione delle misure cautelari previste dall’ICJ per prevenire la continuazione del genocidio della popolazione palestinese.

Una richiesta legittima che trova fondamento nel dovere inderogabile di prevenzione di genocidio previsto dalla Convenzione del 1948 in capo agli stati firmatari, che è stato ripetutamente richiamato in questi mesi dalle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite come lo Human Rights Council, dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Se, come sostenuto dalla CIG, ciò che sta avvenendo in Palestina è un (sempre più) plausibile genocidio, la produzione, lo scambio e la vendita di armi e tecnologie militari al governo di Israele si configura come una palese violazione della Convenzione e una forma di connivenza con un crimine contro l’umanità. Ricordiamo che l’Italia non ha mai interrotto l’invio di armi a Israele, collocandosi al terzo posto a livello mondiale per la quantità di armi vendute al suo governo, e che il ruolo di aziende pubbliche come Leonardo nella commistione tra ricerca pubblica e militare e nel mercato di armi e tecnologie belliche avanzate con il governo israeliano è noto e denunciato da tempo.

Così come è nota e documentata la connivenza strutturale tra le università israeliane e il sistema di apartheid e pulizia etnica israeliane, sia dal punto di vista militare che da quello politico, sociale e giuridico: se istituti di ricerca come Technion o l’università di Tel Aviv sono direttamente implicate nella produzione di tecnologie militari utilizzate sul campo nella Striscia di Gaza, diverse università israeliane sono impegnate nel costruire sostegno legale al governo per individuare dispositivi giuridici di tutela da incriminazioni per la violazione del diritto internazionale e i diritti umani, mentre sostengono e incoraggiano i propri studenti a partecipare alle campagne militari contro la popolazione palestinese, a Gaza e in Cisgiordania. Ad oggi, invece, nessun istituto universitario ha preso posizione pubblica contro il plausibile genocidio messo in atto dal governo israeliano.

In questo quadro, il contenuto del comunicato pubblicato dal Senato accademico, intitolato paradossalmente “Sapienza per la pace e la libertà della didattica e della ricerca”, lascia sconcertati. I massimi organismi dell’Ateneo, rifiutando di aderire alla sospensione anche cautelativa degli accordi con le università israeliane e l’industria bellica, lanciano un appello per “difendere il carattere universalistico e libero della ricerca scientifica”, ignorando non solo i legami strutturali tra il sistema universitario e il paradigma bellico di pulizia etnica israeliani, ma anche il fatto che le diverse dimostrazioni di dissenso espresse dal colleghe e colleghi israeliani sono state silenziate dalla censura e da ritorsioni istituzionali, compreso l’arresto.

È curioso, inoltre, come il testo fatichi a mettere in evidenza il nesso tra “l’ingresso delle truppe di terra israeliane nella striscia di Gaza”, il “numero complessivo di morti superiore a trentamila, moltissimi dei quali sono donne e bambini palestinesi” e la “situazione umanitaria [che] continua ad aggravarsi di giorno in giorno”. E fa apparire la “gravissima carenza di cibo e acqua, e la morte per fame di molti bambini negli ospedali della Striscia” come effetto di una sciagura naturale, invece che della deliberata decisione, da parte del governo israeliano, di bloccare gli aiuti umanitari diretti a Gaza. Una vera e propria acrobazia retorica e politica, acuita dall’ipocrita espressione dei “crescenti sentimenti di dolore e orrore suscitati dall’escalation militare” che sembra non avere alcun artefice.

Nonostante il roboante appello all’apertura di ponti e spazi di dialogo e confronto, la Rettrice Polimeni ha sbarrato la strada al confronto e al dialogo con la componente studentesca e con quella parte dei/delle docenti e del personale tecnico amministrativo che non vuole essere complice del (plausibile) genocidio messo in atto da Israele nei confronti del popolo palestinese. Questo muro innalzato dalla rettrice potrebbe apparire incomprensibile e allo stesso tempo surreale nel momento in cui, in altri atenei ed enti di ricerca, gli organi di governo ascoltano le istanze degli/delle studentesse, discutono e prendono posizione riguardo a mozioni e/o lettere presentate da corpo docente e studentesco. D’altronde, una discussione sul perché tessere relazioni con le istituzioni accademiche israeliane complici nel massacro del popolo palestinese, non metterebbe la Rettrice, e tutti gli organi di governo della Sapienza, a proprio agio: significherebbe infatti mettere in discussione i rapporti con industrie belliche come Leonardo, dal momento che lei stessa siede nel board di MedOr, una fondazione collegata che collabora con istituti di ricerca coinvolti direttamente nel sistema industriale bellico israeliano.

La chiusura di Polimeni ha trovato un buon riscontro nella gravissima aggressione alle studenti che manifestavano da parte delle forze dell’ordine con cariche e pestaggi, oltre al vergognoso arresto di due studenti, per fortuna rilasciate poco dopo. Il bilancio “ufficiale” in poche ore è aumentato sorprendentemente da 2 a ben 27 poliziotti, in assetto antisommossa, feriti dalle studenti a mani nude (che invece sarebbero rimaste secondo la stampa miracolosamente illese). Il clima di intimidazione delle proteste contro il (plausibile) genocidio israeliano sta crescendo, come dimostrano le immediate reazioni di Meloni e Bernini che hanno stigmatizzato le proteste studentesche come prevaricazione e violenza, l’allineamento della stampa nel riportare un corteo di protesta per gli arresti come un “assalto al commissariato” e, non da ultimo, il gravissimo intervento a gamba tesa del ministro Piantedosi che esprime la sua solidarietà al capo della polizia (!).

Prevediamo che andrà sempre peggio, come sta già avvenendo in diversi altri paesi occidentali. Spazi di critica sempre più fragili, criminalizzazione del dissenso e manipolazione della realtà è ciò che accompagna ogni guerra (chi studia lo sa). Ma di fronte a questa riduzione degli spazi di democrazia noi continueremo con convinzione a mobilitarci contro la commistione tra ricerca pubblica e guerra in tutte le sue forme, contro le guerre e chi guadagna massacrando, saccheggiando e devastando vite e territori. Diamo inoltre la nostra solidarietà alle studenti in sciopero della fame per protestare contro la violenza militare che sta contaminando gli spazi della ricerca e della didattica universitarie. Continueremo a costruire insieme le prossime mobilitazioni per la pace in Palestina e la liberazione dei nostri luoghi dalle logiche della guerra. E ribadiamo: Non nel nostro nome!

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