L’analisi dei dati più recenti conferma l’importanza vitale dell’agroindustria per l’Italia, e comunica allo stesso tempo il rischio che questa ricchezza sia intaccata dalle agromafie. Come riportato nell’ 8° Rapporto Agromafie, realizzato dall’Eurispes, Coldiretti e Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, circa l’8% delle unità locali nel Paese fa parte della filiera agroalimentare, sottolineando una presenza diffusa e radicata del settore su tutto il territorio nazionale. La rilevanza dell’agroindustria è ulteriormente confermata dalla sua quota di fatturato, che nel 2022 ha raggiunto il 15% del totale delle attività economiche del Paese. Un dato che attesta la competitività dell’agroalimentare italiano sui mercati internazionali ma sottolinea anche il suo contributo strategico all’economia nazionale. La percentuale degli occupati nel settore è pari al 12,5% del totale degli occupati, un dato che assume un’importanza cruciale in un contesto nazionale caratterizzato da tassi di disoccupazione elevati, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno dove l’agroindustria si conferma come uno dei principali “datori di lavoro”. L’agroindustria emerge come un pilastro strategico per il Sud Italia, rappresentando una fonte di crescita e sviluppo, in particolare in Calabria (11,6%), Molise (11,5%), Sicilia (10,8%), e Puglia (10,4%).
Appare quindi essenziale misurare l’impatto delle attività legate alla criminalità organizzata, in questo àmbito identificate come “Agromafie”, all’interno di ogni provincia del Paese. Attraverso l’adozione delle necessarie trasformazioni statistiche, è stato determinato un indicatore capace di quantificare l’influenza di queste organizzazioni. Questo indicatore riflette tanto le dimensioni criminali associate a tale fenomeno, quanto l’efficacia delle strategie repressive adottate dalle autorità per il suo contrasto, includendo azioni di particolare rilievo come i sequestri di prodotti agroalimentari contraffatti o non conformi alle normative, il sequestro di beni mobili e immobili a seguito di guadagni illeciti, nonché le sanzioni comminate a seguito di reati nel settore agroalimentare.
La classifica delle province elaborata dall’Eurispes mostra come 36 delle 106 province considerate (circa il 34%) registrino un livello di agromafia superiore alla media nazionale. Osservando la distribuzione territoriale del fenomeno, emerge una netta concentrazione delle province con i valori più alti di agromafia al Sud e nelle Isole, confermando la storica vulnerabilità di queste zone alle infiltrazioni mafiose. Su 17 province classificate come livello “alto”, 14 appartengono a regioni del Sud Italia e siciliane, ma si segnala la presenza di alcune provincie del Centro e del Nord, in particolare Pisa e Livorno, che occupano rispettivamente la quarta e la nona posizione, e di Venezia al 17° posto.
L’azione delle agromafie non è dunque confinata nel Sud del Paese, ma si estende con intensità variabile anche nel resto della Penisola, sebbene sia evidente la maggiore intensità e pericolosità nelle aree del Mezzogiorno. Fra le province con un elevato livello dell’indicatore di agromafie, 4 sono calabresi (Reggio Calabria guida la classifica): in pratica, tutte le province della regione ad eccezione di Catanzaro che si colloca nella parte medio-alta della classifica; 6 siciliane (Caltanissetta, Palermo, Messina, Agrigento, Trapani e Siracusa) e, anche in questo caso il resto dell’Isola è nella fascia medio-alta; 3 pugliesi (Foggia, Lecce e Bari) e Salerno per la Campania, regione, questa, dove prevale invece un livello di intensità medio-alto, con l’eccezione di Benevento, che si colloca al 58esimo posto con un indice di livello medio-basso. In tutte le province del Sud ad alta e media diffusione del fenomeno agromafia, prevale l’azione delle storiche organizzazioni criminali radicate sul territorio. In Calabria la ‘Ndrangheta continua ad esercitare la propria influenza anche sulla filiera agroalimentare che si rivela strategica oltre che per il suo indotto, anche per il reimpiego di proventi illeciti derivanti da altri traffici, primo fra tutti quello di stupefacenti. Nella regione i sequestri di beni hanno riguardato aziende agricole, stabilimenti di produzione e trasformazione di prodotti alimentari, imprese di ristorazione e di trasporto merci. In Sicilia prevalgono le associazioni mafiose tradizionali, così come nelle province pugliesi spiccano le cosiddette “Criminalità barese”, “Mafie foggiane” e “Sacra Corona Unita”.
La Sardegna mostra un livello di penetrazione mediamente più basso rispetto alla Sicilia e alle regioni meridionali. Spiccano però le province di Sassari e Cagliari, dove la presenza dei porti e degli aeroporti fungono da snodo strategico per i traffici illeciti anche nella filiera agroalimentare. Nel Lazio emerge un livello di infiltrazione criminale medio-alto nelle province di Latina, Roma e Rieti. Sulla prima pesano l’indotto del mercato ortofrutticolo di Fondi e il proliferare di fenomeni di caporalato. Roma è risultata di particolare interesse per l’estensione degli affari di clan mafiosi del Sud, attraverso l’immissione nel circuito economico legale della ristorazione e della grande distribuzione di proventi illeciti. Nella Capitale è stata scoperta una compagine locale della ‘Ndrangheta calabrese operativa in attività finalizzate ad acquisire la gestione e il controllo di imprese della ristorazione, della pasticceria, della panificazione e del settore ittico.
Fra le province della costa adriatica, registrano un livello medio-alto di presenza delle agromafie anche Pescara in Abruzzo, Ancona nelle Marche e Rimini in Emilia Romagna, le prime due caratterizzate dalla presenza di porti importanti anche dal punto di vista commerciale e soggetto di numerosi controlli da parte delle Direzioni marittime, mentre a Rimini è stata svelata la presenza di un gruppo di soggetti che, oltre a perpetrare reati di usura, si è infiltrata nel tessuto economico locale sfruttando la vocazione turistico-ricettiva del territorio. Le restanti province del Centro-Sud mostrano livelli di infiltrazioni criminali medi e bassi, con livelli inferiori fra le province della costa adriatica rispetto all’entroterra della Tuscia e le province marittime toscane. In Toscana, un livello medio-basso si osserva anche a Firenze e Siena, mentre Arezzo, Pistoia e Prato si assestano sui livelli più bassi.
Le infiltrazioni criminali nel settore agroalimentare risultano mediamente più basse al Nord, dove troviamo un’ampia fascia che rientra nel livello basso e medio-basso di agromafie. Fanno eccezione Venezia e Genova. L’area marittima di Genova è, dopo Bari e Palermo, la zona dove i controlli nell’area portuale hanno determinato la quota più ampia dei sequestri di prodotti, non solo ittici, ma anche di olio di oliva e falso parmigiano. In generale, fra le regioni del Nord, si può affermare che la Liguria sia quella dove la criminalità sta lentamente guadagnando spazio lungo la filiera agroalimentare. Fra le province che registrano un livello medio-basso al Nord troviamo Torino, Biella e Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte; Milano, Sondrio, Brescia, Cremona e Varese in Lombardia; Bologna, Forlì-Cesena e Ravenna in Emilia Romagna, Verona in Veneto e Trento e Gorizia in Friuli-Venezia-Giulia. Fra i reati maggiormente contestati in questi territori troviamo l’utilizzo improprio di marchi tutelati, carenza di tracciabilità, mancanza di etichettatura, caporalato, frodi commerciali nel settore della distribuzione di alcolici e di altri prodotti come parmigiano e salumi.
In sintesi, le analisi effettuate dall’Eurispes attraverso gli indicatori sui territori della Penisola mostrano una diffusione radicata delle agromafie al Sud e in Sicilia e più moderatamente in Sardegna, fatto salvo l’Abruzzo, il Molise e alcune province fra Puglia e Basilicata. Un livello medio/medio basso si riscontra nelle regioni centro-occidentali e un livello prevalentemente basso sulla costa orientale, ovvero Abruzzo e Marche. Al Nord la penetrazione è prevalentemente bassa ad eccezione delle aree marittime di Genova e Venezia e di alcune province concentrate soprattutto fra il Piemonte e la Lombardia. Fra le province del Nord in cui è emersa una maggiore diffusione del fenomeno rispetto alle aree circostanti, ci sono tutti i capoluoghi di regione, ossia le aree più ricche e urbanizzate.