Guerra in Ucraina, quella dipendenza dal grano dell’Est che affamerà l’Africa

Giornalista professionista dal 2005, si occupa di diritti umani, economia predatoria in Africa e lotta alla povertà. Ha lavorato nelle agenzie di stampa, da Agi, a Reuters ad Adnkronos.
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12 maggio 2022

Si parla molto in questi mesi delle ripercussioni della guerra in Ucraina sull’economia africana e sul fabbisogno di grano (e olio di semi) in tutto il continente. Sono solo allarmi mediatici o è una preoccupazione realistica e seria?

Il Corno d’Africa e tutto il Nord Africa si nutrono essenzialmente di pane (e di altri prodotti lavorati con farine di grano) che arrivano quasi esclusivamente da Russia e Ucraina.

Tra il 2018 e il 2020 l’intero continente ha importato circa 3,7 miliardi di dollari di grano (il 32% dei tutto l’import di questa materia prima) dalla Russia, e 1,4 miliardi di dollari dall’Ucraina. Sudan, Somalia, Etiopia, ma anche Egitto e Tunisia, sono tra i Paesi più a rischio fame in questo momento.

«La guerra in Ucraina si sente tantissimo qui – racconta una Cooperante di Khartoum – ha un impatto enorme sulla sicurezza alimentare delle persone. Stando ai dati in nostro possesso ci si aspetta un aumento del 10% dei casi di malnutrizione in tutto il Paese, 153mila casi in più entro settembre. Le cause sono da ricercare nel conflitto in corso in Ucraina, nella crisi economica e nei pessimi raccolti».

L’Eritrea, Paese del corno d’Africa con a capo Isaias Afewerki (che ha distrutto l’intera economica interna per trasformare l’Eritrea in una dittatura militare), senza le importazioni dall’Est non sopravviverà. O meglio dipenderà esclusivamente dagli aiuti umanitari. Il grafico colorato contenuto nell’Information note della Fao (The importance of Ukraine and the Russian Federation for global agricultural markets) è implacabile.

Sono almeno 57 i Paesi che crolleranno per l’effetto domino della guerra russa: Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Egitto e Tanzania si reggono esclusivamente sul grano russo e in parte ucraino. Le sanzioni a Mosca e la guerra in corso riducono di molto la sua possibilità di esportare. Inoltre il 9 marzo di quest’anno l’Ucraina ha vietato le esportazioni di grano ed altri alimenti per prevenire una crisi umanitaria interna. Human Rights Watch scrive che se anche questa catena di rifornimenti dovesse essere ripristinata a breve (cosa altamente improbabile visti i venti di guerra) i problemi persisterebbero perché «gli agricoltori sono in fuga dai combattimenti e il conflitto sta distruggendo le infrastrutture. Aprile era la stagione della semina ma la guerra ha impedito in gran parte che lo si potesse fare, soprattutto nell’ Est dell’Ucraina.

«La guerra sta aggravando una situazione già complicata nell’Africa orientale», ha spiegato Gabriela Bucher direttore esecutivo di Oxfam International al New York Times. Nel 2020 i Paesi africani hanno importato dalla Russia prodotti agricoli per un valore di quattro miliardi di dollari; circa il 90% era grano e il 6% olio di semi di girasole. Il maggior importatore è stato l’Egitto (circa la metà del giro d’affari), seguito da Sudan, Nigeria, Tanzania, Algeria, Kenya e Sudafrica. L’Ucraina ha invece esportato in Africa prodotti agricoli per un valore di 2,9 miliardi di dollari; circa il 48% era grano, il 31% mais e poi olio di semi di girasole, orzo e semi di soia. Al momento la crisi alimentare in Africa non è ancora esplosa in tutta la sua gravità, ma la regione ha bisogno di tutta l’attenzione della comunità internazionale.

Come già accade con i cambiamenti climatici – i cui effetti deleteri sono visibili prima in Africa e poi altrove – così succederà per gli effetti di questo conflitto in corso, e di tutti quelli che combattiamo per procura in altre zone del globo.
Coinvolto dall’effetto domino della guerra in Ucraina c’è senza dubbio anche lo Yemen, Paese del Medio oriente già devastato da una guerra per procura che dura da più di otto anni. Secondo l’Arab world initiative, lo Yemen importa da Russia ed Ucraina oltre il 40% del suo grano. Il centro di ricerca Brookings di Washington, che ha appena pubblicato un report su questo, scrive:

«è probabile che la tragedia yemenita peggiori per via della guerra russa sull’Ucraina».
Ci sono poi Paesi africani apparentemente al riparo dalle conseguenze nefaste della guerra come lo Zambia, che però «non è un’isola, è un paese pesantemente dipendente dalle importazioni di carburante, fertilizzante dalla Russia e macchinari di vario genere», come scrive l’analista Alexander Nkosi su Zambia Watchdog, think tank locale, citato più volte dal missionario.

I missionari cattolici confermano però che ci saranno forse anche compensazioni e forse vantaggi inaspettati: ad esempio la ripresa del commercio estero di rame di cui lo Zambia era in passato il maggior produttore.
«Sembra che, in seguito a questo conflitto, i prezzi del rame siano di nuovi in ascesa e questo può essere un vantaggio per lo Zambia, che è un Paese in default» e ha visto chiudere molte delle sue miniere di rame in questi anni.
Ma il problema africano più grosso al momento resta quello vincolato al blocco del grano, poiché l’Ucraina deve far fronte al proprio fabbisogno interno.
Secondo il Think Tank Arab Reform Initiative, i Paesi arabi (Nord Africa e Medio Oriente) compresi Libano, Tunisia, Giordania, Sudan e Marocco, consumano qualcosa come 128,4 kg di grano pro-capite l’anno. Mentre il resto del mondo ne consuma in totale solo 65,4 kg pro-capite in un anno.

Un missionario salesiano in Etiopia ci parla invece delle alleanze saltate nel Paese del Corno d’Africa dove, nonostante l’argomento sia uscito dalle cronache mediatiche, ancora è in corso una crisi umanitaria e una guerra strisciante nel Tigray.

«Qui ad Addis Abeba – ci scrive in un messaggio il sacerdote che preferisce restare anonimo–non si parla ancora dei prezzi del grano in aumento, ma senz’altro prima o poi la questione esploderà».

Sta di fatto che in Etiopia, «la guerra interna con il Tigray non è ancora stata risolta: e finché non si risolve quella, per noi, tutto il resto passa in secondo piano», afferma.

Va detto però che l’Etiopia è schierata apertamente con Russia e Cina e il religioso ci spiega una dinamica interessante:
«l’Etiopia – dice – si aspetta aiuti da questi due Paesi (uno dei quali però è nel bel mezzo di un’offensiva armata!) e il governo di Addis Abeba è in aperto contrasto con gli Stati Uniti, a causa delle critiche severe ricevute dall’America per aver provocato il conflitto nel Tigray».

Pertanto quella etiope appare come una vera e propria “trappola” geo-politica, per la quale il prolungarsi del conflitto in Ucraina non farà che peggiorare le cose.

In Africa poi, l’effetto domino della guerra in Ucraina si somma all’anomala situazione climatica degli ultimi anni che vede periodi prolungati di siccità e una popolazione costretta a subire l’inevitabile insicurezza alimentare.

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