Agricoltori dello Sri Lanka alla fame, “un errore” l’agricoltura bio

Giornalista professionista dal 2005, si occupa di diritti umani, economia predatoria in Africa e lotta alla povertà. Ha lavorato nelle agenzie di stampa, da Agi, a Reuters ad Adnkronos.
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31 maggio 2022

«Tutto è precipitato. Non so più cosa fare se non alzare la testa al cielo, poi guardare in basso, sul terreno e attendere».

Mahinda Samarawickrema è un piccolo agricoltore dello Sri Lanka. Possiede 20 ettari di terreno che coltiva a riso e banane. Ma quest’anno il suo raccolto sarà talmente scarso da non riuscire a coprire le spese.

Anziché gli usuali 37mila chili di banane che raccoglieva ogni anno, stavolta dovrà accontentarsi di appena 6mila chili. La storia di Mahinda è raccontata dal sito di Al Jazeera, ma sono molti gli organi di stampa internazionali (il Guardian dedica un reportage agli agricoltori srilankesi) che spiegano dall’interno il dramma della carestia dello Sri Lanka.

Un disastro per centinaia di migliaia di piccoli agricoltori vittime della politica agricola intransigente (e praticamente autarchica) del Presidente Gotabaya Rajapaksa, promotore dell’agricoltura biologica tout-court.
Rajapaksa ad aprile 2021 ha imposto un divieto sulle importazioni di fertilizzanti e di altri prodotti chimici per i raccolti, dando il via ad un’agricoltura del tutto biologica per lo Sri Lanka, che però colpisce pesantemente gli agricoltori, perché danneggia i raccolti.

Al pre-summit delle Nazioni Unite, del 26-28 luglio 2021 (lo United Nations Food System Summit), il presidente aveva denunciato problemi di salute e distruzione ecologica nel Paese, connessi all’uso massiccio di prodotti chimici. (clicca qui per il discorso di Rajapaksa).

Da qui l’idea di passare ad una agricoltura esclusivamente organica.

Il divieto sulle importazioni riguardava in realtà ben 600 prodotti, inclusi i fertilizzanti, alimenti di base e materie prima come l‘avena, il latte di soia e i succhi di mela.

L’economia dello Sri Lanka è al palo già da tempo, e il Paese è in default per una serie di ragioni che riguardano fattori endogeni (scelte sbagliate da parte dell’attuale esecutivo, come il taglio delle tasse ai contribuenti), ma anche circostanze esterne legate alla crisi pandemica e ai prezzi del petrolio in rialzo.

Tutti fattori che adesso si ripercuotono sui più poveri, ma anche su chi aveva un discreto tenore di vita.
Diversi piccoli proprietari terrieri nel villaggio di Walsapugala hanno raccontato che non irrigheranno i loro campi nella stagione della raccolta (che va da maggio ad agosto, la Yala season), poiché ci sarà poco o nulla da raccogliere.

Il Paese sembra avere ultimamente invertito la rotta rispetto all’import, rimuovendo il divieto di importazione. Ma per l’attuale stagione della raccolta è ormai troppo tardi.

Di recente l’India si è offerta di fornire i fertilizzanti di cui ha bisogno il Paese per riprendersi.
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