Migranti. Un’inchiesta contro la Fortezza Europa partendo dal video choc del New York Times

Giornalista, già responsabile delle edizioni regionali e vice capo redattore della cronaca di Roma de Il Messaggero, ha approfondito i problemi dell’immigrazione.
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30 maggio 2023

Un gruppo di migranti, 12 in tutto tra cui un bambino, arriva su un furgone bianco in una piccola baia sulla punta meridionale dell’isola di Lesbo e si dirige, scortato da alcuni uomini, verso un molo di legno, dove è in attesa una motovedetta. Costretto a salire a bordo, viene portato al largo, trasferito su una zattera pneumatica di salvataggio e poi abbandonato alla deriva, in pieno Egeo. Sono le immagini di un filmato, girato di nascosto da attivisti per i diritti umani, che documentano un respingimento forzato operato l’undici aprile dalle autorità greche. Il video è stato pubblicato il 19 maggio, a corredo di un ampio servizio giornalistico, dal New York Times, specificando che i 12 profughi, “riportati nelle acque turche da mezzi greci”, sono stati poi salvati da un guardacoste arrivato dalla Turchia e trasferiti in un centro accoglienza a Smirne dove, rintracciati da un cronista, hanno confermato l’intera vicenda, aggiungendo anzi altri particolari sul loro calvario.

La denuncia del New York Times, con quelle immagini sconcertanti, ha sollevato un putiferio di reazioni. Quasi tutti i principali media europei hanno rilanciato il servizio. Diversi europarlamentari hanno preparato interrogazioni e interventi. Ylva Johansson, presidente della Commissione Ue per i Diritti Umani, si è impegnata ad aprire un’inchiesta. Il Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, oltre a chiedere a sua volta un’indagine “indipendente e approfondita”, ha aggiunto, con il portavoce Ravina Shamdasani, che non solo occorre far luce su questo “episodio inquietante” ma istituire “un meccanismo di monitoraggio delle frontiere per verificare le accuse di violenza in collaborazione con la società civile”. E lo stesso governo greco, alla fine, è stato costretto ad annunciare una propria inchiesta, senza però specificare se ne ha dato mandato anche alla magistratura.

Quel filmato scioccante, dunque, ha colto nel segno. Provocando una reazione corale, indignata, unanime. Ma… c’è un ma. Perché solo ora? Certo, le immagini pubblicate dal New York Times testimoniano di per sé un abuso evidente. Anzi, un crimine di lesa umanità. Però il respingimento di quei 12 profughi operato a Lesbo è solo l’ultimo anello di una catena lunghissima. Lunga almeno tre anni. Aegean Boat Report, la Ong che monitora giorno per giorno quanto accade lungo la frontiera marittima tra Grecia e Turchia, nel mese di aprile 2023 ha registrato ben 57 respingimenti dello stesso genere eseguiti nell’Egeo dalla Guardia Costiera ellenica nei confronti di 1.711 bambini, donne e uomini, ai quali è stata impedita la possibilità di chiedere asilo, violando uno dei diritti umani fondamentali. Il governo greco ha sempre negato questa forma di violenza. Ma Aegean Boat Report non demorde: “In aprile abbiamo raccolto foto che mostrano 16 zattere di salvataggio trovate alla deriva nell’Egeo con quasi 300 persone. Si tratta di natanti gonfiabili costruiti in Grecia. Prima di lasciarli in mare, la Guardia Costiera rimuove la copertura arancione che protegge dal sole o dalla pioggia chi è a bordo. E’ verosimile che lo faccia d’intesa con il produttore perché il logo della fabbrica è stampato proprio su quella copertina, in modo da evitare un collegamento immediato del ‘marchio’ della fabbrica a quello che è un evidente reato o comunque un’azione illecita”.

Di più. A partire dal marzo 2020, quando si è insediato il governo di destra guidato da Kyriakos Mitsotakis, confermato nelle elezioni di dieci giorni fa, i respingimenti effettuati dalla Grecia risultano 2.167, per un totale di quasi 58 mila profughi. Una media che sfiora i 20 mila l’anno. Dati che sembrano incredibili ma che invece trovano conferma in quelli di altri osservatori: quasi 42 mila a fine maggio 2022 secondo la Turkey’s Ombudsman Institution; almeno 50 mila fino al novembre 2022 (di cui oltre 18 mila soltanto nei primi undici mesi sempre del 2022) secondo il Comando Egeo della Guardia Costiera turca, tanto che il governo di Ankara ha più volte sollecitato un intervento della Commissione Ue su Atene. E proprio in questi giorni è oltremodo eloquente la denuncia fatta da Medici Senza Frontiere sulla “scomparsa” a Lesbo di quasi mille profughi: “Da quando, nel giugno 2022, Msf ha iniziato a fornire assistenza medica d’emergenza alle persone che arrivano via mare a Lesbo, non siamo riusciti a trovare circa 940 persone nei luoghi che ci erano stati segnalati”, ha dichiarato Nihal Osman, coordinatore del progetto Msf Lesbo, aggiungendo che molti dei profughi soccorsi hanno raccontato di essere stati intercettati e respinti con la forza in mare, durante precedenti tentativi di raggiungere la Grecia, da parte di uomini mascherati che si spacciavano per medici, mentre più volte lo stesso staff della Ong, durante alcuni interventi, “ha visto non lontano veicoli non identificati e senza targa, spesso guidati da individui con il volto coperto”. Auto e dinamiche del tutto simili a quelle documentate dal filmato del New York Times.

Nel caso dell’undici aprile tutti i 12 migranti abbandonati nell’Egeo si sono salvati, ma capita non di rado che il respingimento si concluda con delle vittime. Dal gennaio 2022 a oggi è accaduto almeno sei volte.

Lesbo, 4 maggio 2023. Tre vittime. Di una soltanto è stato recuperato il corpo. Le altre due risultano disperse. Erano con altre 6 persone che prima dell’alba hanno preso il largo dalla costa turca di Ayvalik, separata da Lesbo da un braccio di mare di meno di 20 chilometri. Secondo le testimonianze dei superstiti, una motovedetta li ha intercettati nelle acque greche e risospinti verso la Turchia. Erano ormai nelle acque turche, ma ancora piuttosto al largo, quando la loro barca si è rovesciata. Per i soccorsi è intervenuta una motovedetta salpata da Ayvalik che, giunta sul posto verso le 5,15, ha tratto in salvo 6 naufraghi e ritrovato un cadavere. Nessuna traccia degli altri due.

Penisola di Dilek, 14 marzo 2023. Quattro morti (una donna e 3 uomini) in un gruppo di 44 profughi abbandonati su due zattere poi naufragate su una scogliera della penisola di Dilek, distretto di Kusadasi, in Turchia. Uno dei superstiti – Ibrahim Camara, un giovane liberiano – ha riferito che, sbarcati sull’isola di Samo, lui, la moglie e i suoi compagni sono stati bloccati da una squadra di uomini armati che li hanno costretti a consegnare i cellulari e ad ammassarsi sulle due zattere pneumatiche che subito dopo sono state trascinate fuori dalle acque territoriali da una motovedetta e lasciate alla deriva. Il mare mosso e il vento hanno spinto i due natanti verso la costa turca, mandandoli a infrangersi contro un tratto roccioso e disabitato del parco naturale di Kusadasi. Trentanove naufraghi sono riusciti a raggiungere la riva, chiedendo aiuto. Erano ancora vicino alla scogliera quando li ha trovati la polizia, che ha recuperato un cadavere tra le rocce. Nelle ore successive la Guardia Costiera turca ha tratto in salvo un naufrago aggrappato al relitto di una delle zattere e individuato altri tre cadaveri in mare.

Kusadasi-Samo, 21 dicembre 2022. Annegate 2 donne in un gruppo di 45 profughi partiti sulla breve rotta per Samo dalla costa turca di Kusadasi. Stavano quasi per approdare sull’isola quando la loro barca è stata bloccata dall’equipaggio di un guardacoste greco che, dopo aver smontato il motore dallo scafo gettandolo in mare, li ha trascinati verso le acque turche. Lungo il tragitto – hanno riferito i profughi – è intervenuta un’altra unità greca che, girando intorno a forte velocità, ha sollevato alte ondate, compromettendo l’equilibrio già precario della piccola barca, ormai ingovernabile. A bordo si è scatenato il panico e le due donne sono cadute in mare, scomparendo nel buio in pochi istanti. “Ci hanno quasi travolto – ha dichiarato un superstite – Ci siamo aggrappati alla barca. Alcune donne sono svenute. Una aveva un bimbo di tre mesi, un’altra un figlio di un anno e mezzo. Una delle donne morte era al quinto mese di gravidanza. Anche altre a bordo erano incinte”. I soccorsi sono arrivati qualche ora più tardi da una motovedetta turca.

Isola di Kara Ada (Bodrum), 8 agosto 2022. Tre morti in un gruppo di 11 profughi nel golfo di Bodrum. I loro corpi sono stati recuperati dalla Guardia Costiera turca sul litorale dell’isola di Kara Ada. Come hanno raccontato i compagni delle vittime alle autorità turche, arrestati a Kos appena sbarcati, dopo un breve periodo di detenzione sono stati riportati in mare dalle forze di sicurezza greche e costretti a calarsi in acqua di fronte a Kara Ada. Qualcuno è riuscito a raggiungere l’isola a nuoto, dando l’allarme. Una motovedetta del distretto di Smirne ha poi recuperato al largo altri superstiti: in tutto si sono salvati in 8, inclusi quelli giunti a riva a nuoto. Un cadavere è stato trascinato sulla spiaggia dalle onde. I corpi dei 2 dispersi sono stati ritrovati nelle ore successive.

Rodi, 13-14 luglio 2022. Due siriani – G.K 23 anni e M.M. poco più che ventenne – scomparsi in mare. Facevano parte di un gruppo di profughi arrivati a Rodi tra il 13 e il 14 luglio 2022 e subito arrestati dalla polizia. In stato di fermo per un giorno intero, la sera sono stati consegnati alla Guardia Costiera, che ha costretto tutti a salire su una zattera, poi trainata e abbandonata al largo. “Siamo rimasti in balia del mare per due giorni – ha raccontato un amico delle vittime ad Alarm Phone – Non avevamo la possibilità di chiedere aiuto perché i cellulari ci erano stati sequestrati al momento dell’arresto. Al terzo giorno G.K. ed M.M. hanno tentato di raggiungere a nuoto una costa che si scorgeva in lontananza. Non li abbiamo più visti. Dopo che se ne erano andati una nave con bandiera messicana ci ha avvistati ed ha avvisato le autorità greche ma da Rodi non sono arrivati soccorsi. Alla fine ci ha salvato una motovedetta turca”.

Chios, 30-31 gennaio 2022. Un migrante disperso nelle acque tra l’isola di Chios e la Turchia. Altri due si sono salvati raggiungendo a nuoto la costa turca. Facevano parte di un gruppo di 21 profughi che, arrivati sul litorale di Gridia, 20 chilometri a sud dell’abitato di Chios, si sono divisi in gruppi più piccoli per tentare di eludere i controlli di polizia e mettersi al sicuro nel centro accoglienza per stranieri. Alcuni ci sono riusciti, altri sono stati bloccati e costretti a imbarcarsi su zattere poi soccorse dalla marina turca. Dei tre ragazzi fuggiti insieme, non si è saputo più nulla fino a quando la Guardia Costiera della base di Smirne ha comunicato di aver intercettato due naufraghi, i quali hanno subito riferito che un compagno si era perso in mare. La vicenda è stata ricostruita da uno dei superstiti, cugino della vittima. Il quotidiano Daily Sabah ha pubblicato il suo racconto: “La polizia greca ci ha fermato e sequestrato i cellulari, costringendoci poi a salire su un motoscafo. Quando siamo arrivati al largo, l’equipaggio ci ha dato tre giubbotti di salvataggio, intimando di gettarci in acqua. Ma quei giubbotti erano per bambini, troppo piccoli per noi. Mio cugino ha detto subito che non sapeva nuotare, ma quelli non lo sono stati a sentire. Costretto a tuffarsi dal battello, è subito scomparso in mare. Annegato. Io e il mio compagno abbiamo dovuto nuotare per ore per poterci salvare”.

Voci di una tragedia enorme. Che continua a ripetersi. E che – come riferisce il rapporto sull’ex direttore Fabrice Leggeri elaborato dall’Ufficio europeo anti-frode (Olaf), scoperto dal gruppo giornalistico investigativo Lighthouse Reports e pubblicato da Der Spiegel e Le Monde nel luglio 2022 – in almeno una ventina di casi ha visto la partecipazione, la “copertura” o quanto meno l’inerzia di Frontex, l’agenzia europea per le frontiere. Di fronte a tutto questo, allora, non basta certamente un’inchiesta limitata al respingimento dell’undici aprile scorso, documentato nel filmato reso noto dal New York Times. L’inchiesta – come del resto ha sollecitato la Commissione Onu per i Diritti Umani – deve riguardare tutto quanto è accaduto per anni e sta accadendo ancora lungo le “frontiere marine” dell’Unione Europea. Nell’Egeo, certo, dove i respingimenti sono operati direttamente dalle forze di sicurezza greche. Ma anche nel Mediterraneo centrale, sulla rotta dall’Africa all’Italia e a Malta, dove il lavoro sporco di bloccare i migranti in mare e riportarli indietro, assai spesso nei lager libici, è stato affidato alle Guardie Costiere di Tripoli e di Tunisi. Questa sorta di “appalto dell’orrore”, infatti, non esonera né Roma né la Valletta da responsabilità enormi. Così come appaiono evidenti le responsabilità italiane o maltesi in una serie di respingimenti in Libia affidati a navi commerciali: due solo nelle ultime settimane, quelli operati dal cargo Grimstad e dalla petroliera Long Beach, senza contare il caso della barca con circa 500 persone raggiunta e bloccata nella zona Sar maltese da unità militari libiche, verosimilmente sulla base dell’accordo di collaborazione sottoscritto tra La Valletta e Tripoli.

Avrà l’Unione Europea la volontà e la forza di imboccare la “strada della verità”? Le premesse non sono delle migliori. Un dato per tutti. Nel marzo del 2020, quando ci fu un tentativo in massa di entrare in Europa dalla Turchia attraverso la frontiera terrestre dell’Evros, il governo appena insediato del presidente Kyriakos Mitsotakis ricorse a misure durissime. I profughi furono respinti, ma ci furono almeno 5 vittime: una donna annegata nel tentativo di soccorrere i figli piccoli caduti nell’Evros e 4 giovani raggiunti da colpi di arma da fuoco esplosi dalla riva greca del fiume da uomini mascherati in divisa. In più, nell’Egeo, un bimbo morto cadendo da una barca a causa delle “manovre di dissuasione” messe in atto da un guardacoste. Vite spezzate contro le barriere della Fortezza Europa. Eppure la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ebbe modo di lodare la “fermezza della Grecia” nel difendere i confini dell’Europa. A prescindere da quelle vittime: profughi che chiedevano solo di essere ascoltati. Negli ultimi tre anni la scelta di innalzare “muri” non è cambiata. Anzi, si è rafforzata. La speranza è che un’inchiesta rigorosa e globale, partendo da quel filmato choc di Lesbo ... cominci a sgretolarli.

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