Il Gruppo interforze antimafia è impegnato contro le attività del sistema criminale italiano, anche mafioso, per un corretto utilizzo dei fondi del Pnrr destinati a investimenti strategici per l’Italia. L’occasione per fare il punto sull’attività sviluppata dal gruppo interforze è stata la celebrazione del 209° anniversario dei Carabinieri del 5 giugno scorso. Secondo il generale Giuseppe De Riggi, capo del II reparto del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, l’approccio preventivo operato dal suo reparto risulterebbe strategico per anticipare le infiltrazioni illecite negli appalti del Pnrr e garantire trasparenza anche alla luce dei rilievi critici possibili avanzati dall’Unione europea. Si tratta di un approccio multiplo che passa per la partecipazione al Gruppo interforze antimafia (Gia) nelle prefetture italiane, alla cooperazione con l’Antitrust e la Corte dei Conti, fino all’organizzazione in tutto il territorio nazionale di seminari formativi con le imprese e relative categorie di rappresentanza al fine di ostacolare i tentativi già in corso da parte di una mafia definita sempre più mercatista, ossia orientata a farsi impresa che opera nel mercato e non più solo organizzazione che usa la violenza per gestire territori specifici. Ancora il generale De Riggi ricorda che l’attività condotta prevede il coordinamento dell’Arma dei Carabinieri con le altre forze di polizia e coi prefetti italiani anche per definire con chiarezza le valutazioni necessarie per la “White List”, ossia lo strumento attivato nel 2013 per certificare le aziende non soggette ad infiltrazione mafiosa. Si potrebbe ragionare sull’efficacia reale della “White List” in questo settore come in altri. Resta però concreto il danno derivante dall’iscrizione a questa lista di aziende, ditte o società che anziché operare in modo trasparente e legale, riciclano denaro per conto delle mafie, stringono con loro accordi di varia natura oppure operano direttamente per conto loro nel mercato pubblico ottenendo finanziamenti e sviluppando relazioni con pezzi dello Stato. L’Arma dei Carabinieri ha anche stipulato un accordo con l’Antitrust per lo scambio di informazioni per il rilascio, il rinnovo, il declassamento e la revoca dei rating di legalità. Anche in questo caso l’attività condotta può ostacolare la libera circolazione dei capitali mafiosi intossicando il mercato impedendo lo sviluppo di un sistema di impresa trasparente, legale e coerente con lo spirito proprio dello Stato di diritto. Dal 2021 al 31 maggio 2023 sono stati effettuati 72.209 controlli, di cui 13.101 relativamente a persone giuridiche e 59.108 invece a persone fisiche. Un complesso di controlli e intervento non secondari che ha permesso all’Arma di presentare risultanze ostative per 5.609 soggetti d’impresa e singoli, pari all’8% del totale.
Altrettanto importante è il coordinamento avviato dal Gruppo interforze con le imprese mediante le relative categorie. L’Arma organizza infatti seminari specifici spiegando come possono avvenire gli avvicinamenti di criminali o loro prestanome incensurati allo scopo di penetrare nella direzione di imprese varie per agevolare gli interessi mafiosi oppure essere usate per ottenere fondi, riciclare denaro, assumere una posizione di mercato dominante e socialmente riconosciuta. Sotto questo profilo sono stati sinora svolti 150 incontri con una presenza di circa 8.000 persone interessate a comprendere strategie mafiose volte all’accaparramento delle aziende sane. Un aspetto fondamentale, insieme a quello di conoscere la storia del soggetto intermediario che si è avvicinato all’azienda, è quello di prestare attenzione alle modalità di assunzione dei dipendenti, con particolare riferimento ai contratti di subfornitura con imprese prive di un rating di affidabilità adeguato. Questo impegno è fondamentale per evitare pratiche già assai applicate volte, mediante subfornitura, ad abbattere i costi del lavoro mediante delega ad imprese secondarie opache che praticano sfruttamento e caporalato. Purtroppo questi comportamenti criminali e illegali non sono operati solo da aziende opache o con un passato criminale. Sono diverse infatti le aziende di rilevanti dimensioni che da tempo operano mediante subappalto al fine di abbattere i costi del lavoro, impiegando manodopera italiana e straniera in condizioni di sfruttamento, disagio abitativo, precarietà contrattuale e grave insicurezza sul lavoro. In alcune casi queste aziende, come numerose inchieste della magistratura hanno dimostrato, operano in settori strategici per il Paese, come la logistica, il food delivery, la cantieristica navale, il packaging o la grande distribuzione. Non più dunque attività di sfruttamento circoscritte in ambiti tradizionali, come l’agricoltura o l’edilizia, ma anche in settori economici avanzati, organizzati sul piano manageriale e operanti in circuiti produttivi controllati, visibili, oggetto di finanziamenti pubblici e collocati in una dimensione globale. Particolarmente nota è la vicenda giudiziaria, in fase di accertamento, condotta nei confronti di Fincantieri che a marzo del 2023 è stata chiamata dalla Procura di Venezia a rispondere di sfruttamento dei lavoratori impiegati nelle ditte in subappalto nella costruzione delle navi nei bacini di Marghera.
La nota società siede tra gli indagati, perché accusata dalla Procura di illecito amministrativo per i reati (presunti fino a sentenza) contestati ai suoi dipendenti. Gli indagati sono 33 mentre 13 sono le società per le quali il pm chiede il rinvio a giudizio, contestando una catena di sfruttamento particolarmente organizzata. Oltre ai titolari delle imprese, anche 10 dirigenti dell’azienda pubblica accusati di «intermediazione illecita» e sfruttamento del lavoro e un’altra decina di dipendenti, accusati di «corruzione tra privati»: soldi e vacanze pagate in cambio di appalti. Fincantieri si è a sua volta costituita parte civile contro due ex dipendenti che l’azienda ha licenziato.
L’Arma dei Carabinieri ha anche avviato un'importante attività di collaborazione con la Corte dei Conti per verificare gli interventi di tutela del verde urbano ed extraurbano in 14 città quali Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia. Questa attività di ricognizione e controllo ha permesso di mettere in luce ripetute criticità sul fronte del conseguimento del target europeo. Anche questa attività risulta propedeutica al contrasto alle agromafie e alle ecomafie, in un’ottica di difesa della biodiversità e contro sistemi mafiosi specializzati in tali settori, diffusi nel Sud come nel Nord Italia.
Insieme a queste attività, coordinate dall’Arma con attori istituzionali e imprenditori fondamentali, potrebbe essere utile coinvolgere anche istituti di ricerca specializzati, esperti che da anni fanno ricerca e analisi su questi fenomeni, dipartimenti e docenti universitari specializzati e gli enti locali, al fine di rendere ancora più stringente l’attività formativa, analitica e nel contempo quella volta a prevenire e poi arrestare quello che rischia di essere una nuova emorragia di denaro pubblico e di legalità a vantaggio di mafie, criminali e corrotti vari.