«Un sudanese su cinque è costretto a fuggire e uno su due non sa se e cosa mangerà domani. L’80% delle strutture sanitarie non sono più funzionanti» e i morti ammontano ad almeno 25mila. Nove milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case.
Ma di fronte alla tragica sorte del Paese in balia della guerra tra eserciti rivali da aprile 2023, l’errore più grande sarebbe ritenere ineluttabile la catastrofe umanitaria.
«La manipolazione degli aiuti» e la conseguente crisi umanitaria, sono una «deliberata strategia usata dalle parti in conflitto» per piegare la popolazione allo stremo. E «il blocco degli aiuti umanitari viene usato come arma di guerra». A dirlo è Marco Bertotto, direttore dei Programmi di Medici senza Frontiere, che ieri ha preso parte alla conferenza stampa sul Sudan voluta e organizzata dai missionari comboniani a Roma, dalla Fondazione Missio e Comunità di Sant’Egidio.
Fratel Antonio Soffientini, della provincia italiana dei Comboniani ha introdotto il tema: «insieme dobbiamo rompere il silenzio assordante sul Sudan», ha detto. «Di fronte a questa crisi così gigantesca – ha proseguito Bertotto – noi corriamo il rischio di fare un errore».
Anzitutto, trascurare «l’utilizzo strumentale degli aiuti e dei mancati aiuti». E poi ignorare che «siamo di fronte ad un drammatico fallimento della comunità internazionale in Sudan».
Della necessità di «creare meccanismi che non alimentino il conflitto», ha parlato padre Jorge Naranjo, direttore del Comboni College di Scienza e Tecnologia, in collegamento da Port Sudan. Il missionario ha precisato che l’aiuto umanitario è indispensabile ma non basta. Bisogna impedire che gli eserciti rivali in Sudan ottengano le armi per combattere. Il commercio illegale d’oro al contrario consente alle parti in causa di armarsi.
«In questo momento il finanziamento necessario attraverso l’export di oro lo si usa per pagare le armi», ha spiegato». «Faccio un appello alla Camera dei deputati italiana e al Parlamento europeo – ha incalzato padre Jorge – sono ben conosciute le rotte del traffico di armi che alimentano questo conflitto». È su queste rotte che bisogna intervenire.
«Si sa anche dove vengono prodotte le armi – denuncia Jorge – le nazioni che producono questi traffici generano interessi». Tra i Paesi venditori di armi ci sono la Turchia e gli Emirati Arabi.
Il comboniano ha pertanto detto: «se ci limitiamo a mettere il cerotto (ed è necessario metterlo), questa instabilità continuerà costantemente, invece se riusciamo a creare meccanismi che non alimentino i conflitti, si potrà costruire una pace sostenibile».
Sta di fatto che l’ingresso degli aiuti umanitari finora ostacolato, costituisce una violazione gravissima del diritto internazionale. I missionari comboniani hanno dovuto lasciare la capitale in balia della guerra tra generali e si trovano adesso a Port Sudan e a Omdurman.
Ma come avvengono i blocchi degli aiuti? «Si utilizza la fame come arma di guerra – spiega ancora Bertotto – c’è una burocrazia opaca che ostacola l’accesso degli aiuti sul campo.
Da ottobre 2023 noi non abbiamo potuto inviare forniture all’ospedale nella zona di Khartoum e da gennaio abbiamo dovuto sospendere le attività in quell’ospedale». A preoccupare è anche la deriva delle politiche trumpiane sugli aiuti internazionali, tramite lo stop a UsAid. Brando Ricci, giornalista di Nigrizia, ha fatto notare che «il Sudan nel 2024 è stato il terzo Paese a ricevere più aiuti dagli Usa». Il dietro front di Washington sui finanziamenti alla Cooperazione avrà delle ripercussioni serie anche in Sudan.
«Le Emergency Response Rooms sono dei corpi di mutuo soccorso volontario – ha spiegato Ricci – gli unici che riescono ad arrivare laddove non arrivano le agenzie Onu. Oltre il 75% del loro budget era finanziato dagli Usa, possiamo immaginare cosa accadrà in futuro». All’evento erano presenti anche la Comunità di Sant’Egidio con il suo Segretario Generale, Paolo Impagliazzo e il deputato Paolo Ciani, segretario di Democrazia Solidale.
Tra le proposte rivolte al nostro governo, quella di adoperarsi nei consessi internazionali per garantire l’accesso umanitario ai convogli, favorire l’embargo di armi, dato anche il fortissimo rischio di triangolazioni nella vendita di armi tramite i Paesi confinanti; e favorire il diritto d’asilo.